Alda Miceli, quando l’incontro con Cristo lascia tracce nella storia d’Italia

Femminismo cattolico

Il Novecento italiano ha visto protagonista una donna del profondo Mezzogiorno. Che ha inteso il rapporto con Gesù da spendere nella storia come sorgente viva di cultura e dunque di impegno nella società. Ora, un libro, scritto con cura e passione da Ernesto Preziosi, ha il grande merito di portare finalmente l’attenzione verso una figura femminile di pensiero vivace, innovativo, provocatorio, anticonformista. Impegnata con la vita in ragione della promessa affidata a noi dal Figlio di Dio che ha salvato il mondo. Come ci ricorda l’’evidenza misteriosa della Santa Pasqua.


7 aprile 2023
di Nicola Varcasia

©Archivio – CIF Avellino

Negli Anni Trenta, a Longobardi e dintorni, si monitoravano “tutti i casi particolari in cui bisognava intervenire”. Longobardi non è una delle città invisibili di Calvino, è un paese reale che, a dispetto del nome, è situato nella Calabria profonda. E gli interventi di cui si parla in questo episodio non avevano niente a che fare con una qualche azione squadrista.
Al contrario, l’invito che si rivolgeva non solo nel piccolo paese, ma in tutta la Calabria durante gli anni del regime fascista, era quello di “non lasciar passare l’occasione straordinaria di ascoltare una parola nuova, un messaggio di bontà, di amore, una possibilità d’incontrarsi con Cristo”.
Ed è proprio a Longobardi che, nel 1908, è nata Alda Miceli da una famiglia con forti ascendenze risorgimentali ma, nella quale, nelle generazioni successive si è incastonata una fede solida e operosa che ha lasciato il segno, ma sarebbe giusto dire il lievito, nella storia d’Italia.

Ottobre 1964 , il Consiglio Ecumenico; da sin Amalia di Montezemolo; Alda Miceli, Marie Louise Monnet

Alla guida delle giovani di Azione Cattolica

Questa storia, a partire da quella della sua famiglia, è stata ricostruita con cura e passione da Ernesto Preziosi, in un volume edito da Prometheus dal titolo “Alda Miceli – Una donna protagonista del Novecento”. In effetti, il percorso di Alda Miceli è del tutto singolare, ricco di eventi significativi che avvengono nel solco della GF ovvero la Gioventù Femminile, il ramo dedicato alle giovani dell’Azione Cattolica e di cui Alda assumerà anche la guida nazionale nel 1949, ma che poi abbracciano anche altre istituzioni ecclesiali, culturali e sociali: sono tantissimi gli episodi che vengono narrati nel libro e che accendono un faro su una vita intensa le cui molte esperienze in ambito ecclesiale nella natia Calabria la portano a collaborare “con il gruppo di amici riuniti intorno a padre Agostino Gemelli e ad Armida Barelli”.
Negli anni della Guerra è chiamata, per un breve periodo, alla direzione del Marianum, il collegio femminile dell’Università Cattolica e successivamente farà a lungo parte del consiglio di amministrazione dell’Ateneo e di quello dell’Istituto Giuseppe Toniolo di Studi Superiori, l’ente fondatore e che ancora oggi controlla la Cattolica. Oltre a raccogliere l’eredità di Armida Barelli al vertice della Gioventù femminile e di Azione cattolica, le succede anche ai vertici dell’Istituto Secolare delle Missionarie della Regalità.
Sarà inoltre presidente per molti anni, precisamente dal 1963 al 1979, del CIF Centro Italiano Femminile ove partecipa in modo originale al dibattito sociale e politico in anni cruciali per l’emancipazione femminile.

©Archivio CIF – Giovan Battista Montini in vista al CIF

Per le donne dignità e libertà

Ogni capitolo dell’impegno personale di Alda Miceli si intreccia dunque con un periodo particolare della storia della Chiesa e dell’Italia. È questo intreccio che rende ancora più interessante “l’apostolato” di una donna che ha cercato di rappresentare le istanze cattoliche in ogni luogo e ad ogni livello di responsabilità a cui è stata chiamata, confrontandosi con la straordinarietà della ricostruzione post bellica e le sue contraddizioni.
Leggendo il libro, emerge una commovente unità d’intenti nelle iniziative a cui Alda Miceli ha partecipato da giovane “gieffina” o nelle vesti di presidente del CIF.
Nei primi capitoli si scopre una giovane intenta a raggiungere l’allora arcivescovo di Reggio Calabria, monsignor Antonio Lanza, a bordo di un “carro tirato da due poderosi buoi per passare a guado il Petrace a Gioia Tauro” per via del ponte non più praticabile: nel 1944, a Guerra non ancora finita Alda, responsabile regionale, cominciava a rianimare il tessuto associativo della GF con il primo incontro “ufficiale” fissato poco dopo il vittorioso passaggio degli Alleati in Calabria.
Più avanti si leggono stralci delle amare relazioni che la stessa Miceli, venticinque anni dopo, pronuncerà durante la presidenza del CIF, quando era ormai del tutto chiaro, almeno a chi voleva vedere che, a livello di consenso, non ci sarebbe più stato match per la “questione cattolica” e anche l’emancipazione femminile aveva preso una china alquanto diversa rispetto a quella auspicata nei circoli calabresi della GF così come nella Chiesa in generale. Referendum sul divorzio docet.
Eppure, come ricostruisce puntualmente Preziosi, proprio nei difficili anni Settanta, il CIF ebbe il coraggio di mettere la famiglia al primo posto. Impegnandosi con “proposte puntuali per l’approvazione della legge su un nuovo diritto di famiglia, che in più di un caso vennero accolte nel testo della legge”.
Nel decennio precedente, quello del boom economico, ci fu “un forte contributo alla formulazione di leggi riguardanti la condizione femminile”, come quella del “6 febbraio 1963 ad iniziativa di Maria Cocco allora presidente provinciale del CIF a Cagliari, che apre alle donne l’accesso a tutti i pubblici uffici; oppure la legge del 1950 per la tutela delle lavoratrici madri ad iniziativa dell’onorevole Maria Federici, prima presidente nazionale del CIF”.
Al di là dei rapporti – per quanto possibile – positivi e attivi con la politica (lo riconobbe anche Nilde Iotti, pur trovandosi dall’altra parte, quella vincente, della barricata culturale e ideologica) il CIF a trazione Miceli, al pari di quello dei primi vent’anni di vita, è stato una realtà associativa che ha incarnato in modo plastico la ragion d’essere di un corpo intermedio della società, contribuendo a ricostruire il Paese dopo la Guerra: detta con qualche numero, solo in Lombardia il CIF gestiva 1.400 scuole materne e tutte le estati portava 9mila bambini in colonia, in tutta Italia ha dato vita a consultori e altre iniziative di sostegno sociale e alla promozione della condizione femminile di fronte alle concezioni vecchie e nuove che ne riducevano la dignità e la libertà.

©Archivio CIF Avellino

La sua apertura alle istanze del ‘68

Ripercorrendo la vita di Alda Miceli emerge un femminismo che non temeva di definirsi cattolico e di porsi in dialettica aperta con il femminismo radicale che, vinte innumerevoli battaglie della secolarizzazione, ha trasformato la mentalità e il costume creando nuove opportunità insieme con ferite profonde, che si riaprono di continuo anche oggi, come è evidente nel dibattito sui diritti civili. Il cambiamento in atto nella società è stato visibile ad Alda Miceli anche grazie ai differenti osservatori a cui con grande merito aveva avuto accesso, da quello dell’ateneo a quello dell’associazionismo. Non è stata una battaglia di retroguardia: tra i tanti documenti citati da Preziosi vi è anche un discorso della Miceli in cui riconosce la positività del fermento del ’68, senza atteggiamenti di scomunica o di chiusura aprioristica verso le nuove istanze.
Eppure, come è noto, non tutto è andato come ci si aspettava. Anzi. La direzione intrapresa dal vivere civile ha mutuato modelli nuovi che vedevano nelle strutture precedenti, almeno formalmente permeate dal cristianesimo, un nemico da abbattere.
Va detto che l’idea di presentare il cristianesimo e le sue implicazioni esistenziali come l’avversario del nuovo che avanza è sempre stata la narrazione di chi voleva eliminarlo, ma questa è una condizione che trascende la singola storia di una donna di indubbie qualità che ha attraversato tutto il secolo scorso con slancio, partecipando come uditrice, su invito di Papa Paolo VI, al Concilio Vaticano II.
Non si può infatti pretendere da Alda Miceli né dal libro che ne racconta la vita l’analisi delle cause dello scollamento di gran parte della popolazione italiana dall’esperienza cristiana. Però può essere un interessante termine di paragone con l’oggi, dove l’estraneità delle persone verso la fede cristiana è ancora più grande che nella Longobardi degli anni Trenta da cui Alda Miceli è partita. Come ha chiesto a ciascuno monsignor MarioDelpini, Arcivescovo di Milano (che ha voluto partecipare ad un recente incontro svoltosi proprio in Cattolica dedicato alla figura di Alda Miceli raccontata da Preziosi) nella scorsa domenica delle Palme: “La gente di oggi comprende il significato di questo gesto così popolare?”.

©Archivio CIF – Aldo Moro e Tina Anselmi in visita al Centro Italiano Femminile