Dalla, Battisti e quel bisogno di musica e mistero

Artisti che mancano

Anniversari di due giganti della musica italiana: Lucio Dalla e Lucio Battisti. La circostanza, ottant’anni dalla nascita, permette finalmente di tornare ad occuparsi della grande musica. Il Lucio laziale, un genio della partitura musicale (di Mogol i testi); il Lucio di Bologna un genio capace di produrre canzoni di straordinaria originalità e ampiezza. Che ci porta ancora a dire, dopo aver ascoltato un suo capolavoro: ma come è profondo Dalla.


10 marzo 2023
di Walter Gatti

Certo ci sono Ernia e Fedez, Fabri Fibra e JAx, Maneskin e Rosa Chemical, tutti stupendamente fantastici, discendenti in linea diretta di Mozart e John Lennon. Però chissà come mai, ad un certo punto si scopre che sul calendario ci sono gli anniversari di Lucio Battisti e Lucio Dalla, e allora finalmente ci si può occupare di grande musica.
Non che rapper e trapper non siano epicamente grandissimi, figuriamoci, però sembra che finalmente di fronte ad un paio di anniversari, il non detto si possa dire: quando c’erano loro era un’altra cosa. Laudator temporis acti? Ma certo, ma anche ricordare Bach e Mozart fa parte dello stesso amabile cliché.
E quindi: il Lucio di Bologna era nato (come dice il titolo di una sua celebre canzone) il 4 maggio 1943, mentre il Lucio di Poggio Bustone era venuto al mondo il 5 marzo dello stesso anno. Negli anni in cui nascevano quei due si attendeva la fine della guerra. Poi partiva il Festival di Sanremo (nel 1951) e tra melodie e orchestrine, nasceva la canzone d’autore e poi il beat ed il rock. Non c’era l’autotune, non si parlava di rap (anche se lo scat, uno dei progenitori, era già in circolazione da un po’) e si suonavano strumenti “veri”. Che strano mondo….

Cosa ci manca di Lucio+Lucio

Chiaro che le cose sono cambiate, e ormai San Siro o l’Olimpico lo riempiono anche i dilettanti, ma oggi ricordare Battisti e Dalla è un esercizio di maieutica, di memoria collettiva e di confessione religiosa. Da un lato perché occorre ogni tanto tirar fuori dai meandri nascosti della coscienza artistica del nostro Paese qualcosa che abbia un suo senso evidente e indiscutibile e non unicamente modaiolo. Dall’altro perché in questa “evidenza” scopriamo il non-detto: che abbiamo anche noi degli eroi e degli dei nel paradiso delle sette note. Dei da ricordare, da venerare, finanche da pregare.
Cosa ci manca dunque di Lucio+Lucio?

Di Battisti si potrebbe dire che manca l’incredibile vastità e qualità della scrittura musicale, la capacità di fare dello sporchissimo blues come in “Insieme a te sto bene” (Insieme a te sto bene, Fra le braccia tue, così, Adesso non parlare, Anch’io, sai, non ho avuto più di quel che ora tu mi dai) e dare subito dopo vestito orchestrale aIo vorrei, non vorrei, ma se vuoi(quella di come può uno scoglio, arginare il mare…..).
La magia della collaborazione con Mogol (fino a Una giornata uggiosa, 1980), paroliere perfetto, ad un certo punto (con il breve interludio dei testi della moglie con pseudonimo Velezia) lascia il campo agli equilibrismi letterali di Pasquale Panella: ed anche qui Battisti dimostra di poter  musicare qualsiasi cosa, come si ascolta stupiti nell’immenso arrangiamento trovato per A portata di mano (E tutto il tempo è vicino, A portata di mano, Sul tavolino, sul ripiano, Su quanto ti è più caro). Non c’è musica oggi, e invece c’è musica ovunque, in Battisti. Questo ci manca. Come l’aria. Come il sole dopo un inverno cupo. Come un amore vero dopo storie sfigate. C’è grande musica in ogni canzone di Lucio Battisti: questo ce lo rende così importante.

Uno squarcio necessario

E cosa invece ci manca di Dalla? Inutile parlare della qualità delle sue storie (“4 marzo”: Così lei restò sola nella stanza, la stanza sul porto, con l’unico vestito, ogni giorno più corto….) o della visionarietà dei suoi racconti (da “l’Ultima luna” a “Tutta la vita”, quella in cui Tutta la vita, Senza nemmeno un paragone, Fin dalla prima discoteca, Lasciando a casa il cuore o sulle scale, Siamo sicuri della musica? Sì, la musica, ma la musica).
Anche con Dalla, come con Battisti, siamo di fronte ad una produzione artistica che fa impallidire per quantità, qualità, freschezza, originalità ed ampiezza. Il Lucio di “Caruso” (Potenza della lirica, Dove ogni dramma è un falso, Con un po’ di trucco e con la mimica, puoi diventare un altro) con i suoi brividi melodrammatici, è agli antipodi dello sberleffo onanistico di “Tragico Erotico Stomp (Sono uscito dopo una settimana
Non era tanto freddo, e normalmente, Ho incontrato una puttana,  A parte i capelli, il vestito, La pelliccia e lo stivale, Aveva dei problemi anche seri, E non ragionava male
). E ancora: l’acquarello metropolitano di “Piazza Grande” (Dormo sull’erba e ho molti amici intorno a me Gli innamorati in Piazza Grande, Dei loro guai, dei loro amori tutto so, sbagliati e no, A modo mio avrei bisogno di carezze anch’io, A modo mio avrei bisogno di sognare anch’io) naviga su coordinate lontanissime da “Il motore del 2000 (con il testo del poeta Roberto Roversi), sguardo mistico sul futuro degli umani e delle loro meravigliose ed inutili prospettive cibernetiche (Noi sappiamo tutto del motore, Questo lucente motore del futuro, Ma non riusciamo a disegnare il cuore, Di quel giovane uomo del futuro, Non sappiamo niente del ragazzo, Fermo sull’uscio ad aspettare, Dentro a quel vento del 2000).

Ecco cosa ci manca di Dalla: della sua grandezza ci manca uno sguardo ed uno squarcio che erano solo suoi e che ci portavano le sue domande ed il suo senso del mistero. Ci manca il grande tutto che si apre immenso e sconosciuto in “Com’è profondo il mare”. Ci manca il cuore del ragazzo del Duemila appena citato, ignoto a noi che sappiamo tutto delle invenzioni futuribili. L’immensa risposta che c’è nella finestra che si apre sulla spiaggia e a cui si affaccia Maria, la donna sognata dall’ergastolano di “La casa in riva al mare”, un po’ Beatrice, un po’ Marilyn Monroe e un po’ Madonna. L’assurdità delle finte risposte di “Quale allegria (Facendo finta che la gara sia arrivare in salute al gran finale). Ci manca il cocciuto e popolare coraggio di guardare avanti, che è la costante di tante canzoni perfette, da “Futura ad “Anna e Marco, da “L’anno che verrà all’ “Ultima luna.
Quest’ultima, poi, è una storia che pare presa dai racconti horror di Ray Bradbury, e conclude nella speranza del bambino appena nato, l’unico che vide la luna finale, bimbo che Aveva occhi tondi e neri e fondi, E non piangeva, Con grandi ali prese la luna tra le mani, tra le mani, E volò via e volò via, Era l’uomo di domani l’uomo di domani.

Il racconto della vita

Ecco cosa ci manca di Dalla: un racconto della vita con dentro un senso di stupore, di meraviglia, di mistero. Quella cosa che pullula nella vita, che sguscia fuori dai corpi e dai desideri, dalle voglie e dai dolori, dalle metropolitane e dagli orgasmi, dai giovani e dai vecchi sdendati, dai cani e dalle automobili, dalle civiltà e dalle barbarie, dagli ubriachi e dagli avvocati, dalle puttane e dai barboni.
Quella cosa che riempie i dischi di Dalla e di cui ultimamente non c’è traccia nelle canzoni che le radio diffondono, così assente nei dischi, nei film, nei libri della nostra contemporaneità che è comunque così etica, così green, così elegante nell’adorazione del suo dio-salute, dio-forma smagliante, dio-corretto.
Quella cosa che ci manca – il racconto della vita e del suo mistero – e che l’anniversario di Dalla ci ha aiutato a ricordare. Poi magari ritorniamo a sentire Ernia e Fedez e i Maneskin….