Un po’ di aria fresca nel teatro della vita

È nelle sale cinematografiche “Grazie ragazzi!” di Riccardo Milani. Un racconto che chiama in causa il quotidiano della prigione. Dove può succedere qualcosa che allarga gli orizzonti. E magari i cuori. C’è l’incontro tra l’umanità non facile di un gruppo di reclusi e insegnanti anche loro un po’ prigionieri di un presente avvertito così così. La messa in scena di Beckett diventa l’occasione di alzare lo sguardo. Si saprà farne tesoro? Una recita che apre il sipario senza poi chiuderlo definitivamente. Opera italiana che riprende un film francese. E non sfigura affatto!


27 gennaio 2023
di Giancarlo Grossini

Grazie ragazzi – immagine dell’apertura dello spettacolo

Come affrontare una riflessione su “Grazie ragazzi!”, il bel film di Riccardo Milani? Quando mi è stato chiesto di intervenire, immediatamente mi son detto: che cosa scrivere, che cosa comunicare, al di là di quanto tanti critici già hanno detto. Il timore di ripetere quanto già sentito, si fa avanti, e allora: come entrare nella discussione sul film?

Gli attori di Prisoners of Beckett in strada

Una storia vera

Rieducazione, riscoperta che la vita ha un valore, e ricongiungimento con una visione del mondo dagli orizzonti allargati perché bisogna tentare in ogni modo di scappare da una prigione molto spesso auto-costruita: questi i temi di “Grazie ragazzi!”. Ma se la prigione fosse vera? Il film risponde partendo proprio da una storia vera, quella di Jan Jonson, e dei suoi prigionieri di Beckett documentati nel film del 2005 “Les Prisonniers de Beckett” di Micka Saal. E ancora, e mai titolo calzò come un guanto alla ricostruzione dello stesso caso in “Un Triomphe” (2020), conosciuto sulle piattaforme nazionali come “Un anno con Godot”, di Emmanuel Caurcol. E qui si apre un capitolo, da tutti citato nella critica al film, ma che può allargarsi a qualcosa di più. Perché nel caso dei rifacimenti, vengono i dolori, insieme alle delizie, come succede nella ricerca di dare altre identità a quanto già presente sul mercato. “Grazie ragazzi!” infatti è la copia pressoché identica del film francese. Si sa che i rifacimenti sono cibo per il grande schermo, anche se, bisogna sottolinearlo, non se ne capisce il motivo. Attenzione: una cosa è proporre Shakespeare o altri grandi della letteratura, che so Jane Austen, o Collodi, che diventano sceneggiatori universalmente validi e non soffrono del passare del tempo. Un’altra è prendere un film, ripeterlo passo a passo, meglio, sequenza dopo sequenza, inserendo magari qualche nota diversa tanto per avere la coscienza a posto e dire ma questo è un altro film. Pensiamo a “perfetti sconosciuti” di Paolo Genovese, un perfetto canovaccio che è stato già sottoposto a una ventina di rifacimenti nel mondo. Caso unico che chiede a voce alta una risposta? La risposta nella carenza di idee? No, perché tante sono le idee delle nuove generazioni di sceneggiatori, che si scontrano come da secoli avviene con la ragioni economiche del “prodotto”, e allora produzioni, dubbi del mercato, et similia si sovrappongono al “nuovo” e fan preferire il “sicuro”. Se quel “Perfetti sconosciuti” ha funzionato così bene, perché non rifarlo? E così il rifacimento diventa via libera per una specie di nazionalismo del set, legato a cast, a piccole varianti, a sfondi diversi. Ma torniamo a “Un Triomphe” e a “Grazie ragazzi!”. La storia dell’attore in crisi che ritrova l’estro armonico della recitazione improvvisandosi insegnante di teatro per un gruppo di criminali fra le sbarre e facendone un cast per una messa in scena di “Aspettando Godot” trasformata in successone, e addirittura destinata a un tour, è una storia molto toccante, capace di rasserenare, e di dirci che cosa si potrebbe fare per restituire valore alla vita, e soprattutto portare aria fresca nei luoghi dolorosi della detenzione.

Due pellicole per una possibile via d’uscita

Veniamo ai due film: analizziamoli come si fosse su un campo di gioco, una partita fra due squadre, solide nella preparazione, e che svolgono gli stessi ruoli in campi diversi, la Francia e l’Italia, e giocano sullo stesso tema, che è poi la trama dei due film. Si trovano alla pari nella recitazione i giocatori? Ammirare un immenso Kad Merad  che porta i suoi teatranti dal Théàtre de la Croix—Rousse di Lione fino all’Odéon di Parigi, è anche ammirare il nostro immenso Antonio Albanese, fra gli interpreti più bravi del nostro cinema. Sensibile al punto giusto, in grado di tener testa a Merad e stabilire un pareggio senza mezzi termini. Basterebbe confrontare i “provini” per capire come il duo Merad-Albanese sia in grado di operare sul diaframma per convincere gli aspiranti attori a darsi in toto all’arte della recitazione. E gli altri attori? Qui la cosa si differenzia e fa vincere i nostri colori. Se Fabrizio Bentivoglio è ottimo nel cercare di proporre la via di uscita dal doppiaggio dei film porno ai quali si è adeguato Albanese per sbarcare il lunario, un sicuro primo posto rispetto alla collega Marine Hands nel ruolo della direttrice del carcere, va assegnato alla bravissima Sonia Bergamasco che dà le note giuste ai suoi interventi, rispetto a quelle più edulcorate della Hands.

Antonio Albanese in Grazie Ragazzi

Pareggio assoluto per i teatranti carcerati. Ognuno in entrambe le versioni della storia risulta ben caratterizzato, e in grado di far salire l’adrenalina. Pennellate sicure che li rendono personaggi, ne fanno il contorno indispensabile per il funzionamento del racconto in quanto a identificazione con lo spettatore che si trova, pure lui, a “provare” le emozioni di chi cerca una nuova dimensione nell’esistere. Non suoni troppo ridondante e supponente questa riflessione perché quando ci si identifica con qualcuno anche per pochi momenti, si trova l’armonia psicologica necessaria a stabilire una comunicazione. E questo avviene sia con “Un Triomphe”, sia con “Grazie ragazzi!”.

Samuel Beckhett