La Rosa Bianca: forte e irremovibile come l’incudine

La ghigliottina del nazionalsocialismo contro l’esperienza di libertà di un gruppo di giovani cristiani. Sono passati ottant’anni da quelle atroci uccisioni. Una storia importante, un avvenimento da non dimenticare come ha ricordato il servo di Dio Romano Guardini in una commemorazione del 1958 all’università di Monaco. In un tempo che brucia tutto come se nulla fosse più importante per davvero, conviene allora riprendere confidenza con la memoria. E scoprire così come quella vicenda, quel sacrifico di sé quando si ha poco più di vent’anni, ha molto da dire in questo presente. Un’epoca dove i totalitarismi non sono certo un pericolo scampato. 


27 gennaio 2023
di Enzo Manes

Il lancio dei volantini nell’Università di Monaco – Sophie Scholl La rosa bianca

Il 22 febbraio 1943, dunque ottant’anni fa, tre giovani tedeschi, Hans e Sophie Scholl insieme all’amico Christoph Probst, dopo un processo farsa inscenato la mattina stessa dal cosiddetto Tribunale del popolo di Monaco, subirono l’esecuzione capitale mediante ghigliottina. L’accusa nei loro confronti parlò di alto tradimento in quanto anima del gruppo di cristiani della Rosa Bianca. Giovani impegnati con la vita, non particolarmente attratti dalla politica in senso stretto, ma certo lucidi nel ritenere uno sgorbio della storia il totalitarismo nazionalsocialista. La loro impavida resistenza non violenta fatta di passione intelligente e accorati volantini liberanti e non semplicemente programmatici, risentiva dell’eco ideale e reale arrivata loro dalle parole del cardinale Clemens August Von Galen. Nel 1941, il prelato definito, con un immagini colorita e corrispondente al vero, il “leone di Munster” aveva indicato strada e prospettiva: “Noi siamo incudine e non martello. Rimanete forti ed irremovibili come l’incudine sotto l’imperversare dei colpi che si abbattono su di noi, nella dedizione sconfinata al popolo ed alla patria. Bisogna ubbidire a Dio piuttosto che agli uomini”.

I giovani della Rosa bianca, con Sophie Scholl

Porsi per opporsi

Quelli della Rosa bianca si fecero incudine. Fecero resistenza ponendo più che opponendo. Fino al sacrifico di sé. Un’esperienza radicale, amorosa, irriducibile spesa per una giusta causa: il ritorno alla libertà, alla possibilità di stare attaccati alla vita come occasione di rendere il fatto cristiano il fatto che fa la differenza: letizia in abbondanza per tutti. Con Hans, Sophie e Christoph erano parte del nucleo forte Alexander Schmorell, Willi Graf e il loro amico più adulto, il professor Kurt Huber che si occuperà di stendere gli ultimi volantini. La loro irrequietezza poggiava su convinzioni per nulla ingenue, il regime dispotico poteva ritenerle tali se non addirittura pericolose proprio perché regime, perciò per sua natura non appassionato alla verità dell’uomo. Nel primo volantino distribuito, il gruppo della Rosa Bianca testimoniava quello che gli rimbalza nel cuore e non li lascia tranquilli. Il loro spirito cristianamente sovversivo li portava a scrivere una cosa così: «Chi di noi prevede l’onta che verrà su di noi e i nostri figli, quando un giorno cadrà il velo dai nostri occhi e verranno alla luce i crimini piu orrendi, che superano infinitamente ogni misura?». Quel volantino, come i seguenti circolava, la gente lo prendeva, lo leggeva e non pochi lo conservavano in gran segreto. Tutti i volantini realizzati e diffusi dalla Rosa bianca fecero un certo rumore. Il rumore dell’incudine che resiste all’efferatezza del martello. Purtroppo il movimento non si allargava, la paura tra la popolazione tedesca era un freno alla resistenza. Davanti a quella oggettiva difficoltà il gruppo di amici si aggrappava ancora di più al perno intorno a cui ruota tutto. Come ricorda Inge Scholl, la sorella più grande di Hans e Sophie, nel suo resoconto di quegli accadimenti. Scrive: «Cristo divenne per essi in quel periodo il singolare fratello magiore che era sempre vicino, ancor più vicino della morte: la via che non consentiva ritorno, la verità che dava una risposta a tante domande e alla vita, vita piena» (Inge Scholl, “La Rosa Bianca”, Itaca, 2006). E Willi Graf, poco prima di salire al patibolo dopo un’attesa lunga quattro mesi dal giorno della sua condanna a morte, inviava una lettera ai genitori e alla sorelle dove si può leggere il contenuto dell’appartenenza al mistero di Cristo dentro qualsiasi circostanza della vita: «… non dovremmo essere quasi lieti di portare in questo mondo una croce, una croce che a volte sembra superare quasiasi misura umana? In un certo senso questa è sequela ‘letterale di Cristo’. (…) Per noi la morte non è la fine ma un passaggio, l’ingresso nella vita vera. Io cerco di diventare sempre più cosciente di questo e chiedo la forza e la benedizione perché accada». (dalla prefazione di Paul Joseph Cordes, Presidente  del Pontificio Consiglio Cor Unum in Hans e Sophie Scholl “Lettere e diari”. Itaca, 2006).

Sophie Scholl

Il loro maestro: Romano Guardini

Una radicalità ragionevole che si impone nella storia. In giovani poco più che ventenni. Nel loro caso ci parebbe di poter dire, riprendendo un verso famoso di Francesco Guccini, che “gli eroi sono tutti giovani e belli”. Infatti, pur all’apparenza sconfitti ed eliminati con metodo brutale in nome di un utilizzo distorto della giustizia (succede così dalle parti del totalitarismi) che fa gridare vendetta al cospetto di Dio, nell’immediato dopoguerra il popolo tedesco, consapevole o meno, ha come riscattato quel loro inaudito sacrificio. Esplicita tale pensiero Romano Guardini, personalità enorme che i giovani della Rosa Bianca avevano conosciuto attraverso le sue opere. E tale conoscenza li aveva ispirati al punto tale dal considerarlo un maestro di vita e tramite impetuoso di incontro con Cristo. Lo fece in un discorso commemorativo all’università di Monaco invitato dal Rettore per l’inagurazione del cortile coperto dell’ateneo dove i fratelli Scholl avevano fatto scivolare dall’alto i volantini della libertà. Il discorso di Guardini, servo di Dio, teologo, filosofo, scrittore, avvenne il 12 luglio 1958. Nell’occasione giunse al punto che gli stava a cuore per rendere ragione dell’originalità dell’esperienza dei giovani della Rosa Bianca, nel denunciare l’insidia del totalitarismo. Prima di tutto spiegò, con queste parole, perché il totalitarismo è contro la verità dell’uomo: «Toglie al singolo il peso di dover pensare con la propria testa, di dover giudicare, decidere, rispondere del proprio destino. Questa è la grande tentazione. Ciò che è avvenuto nel 1933 e che è proseguito per dodici anni interi, con conseguenze, alla fine, che paiono del tutto apocalittiche, non si è compiuto solo dall’alto in basso, ma anche dal basso in alto». I giovani della Rosa Bianca non hanno ceduto alla grande tentazione.

Dal film La Rosa bianca – Fotogramma del processo che si concluse con la condanna a morte con ghigliottina

Tutto il contrario, tutto per un’antropologia positiva sorretta da una fede che vuole fare i conti con la realtà delle cose, anche se così si può uscirne fatti a pezzi, in prima battuta sconfitti, soccombenti al potere violento, quasi che possa essere ritenuta velleitaria e incomprensibile la loro sfida: «Di certo hanno lottato per la libertà dello spirito, per l’onore dell’uomo, e il loro nome resterà legato a questa lotta. Nel più profondo hanno vissuto, però, nell’irradiazione del sacrificio di Cristo, che non ha bisogno di alcun fondamento nell’esistenza immediata, ma sgorga libera dalla fonte creativa dell’eterno amore. Come è incomprensibile l’atteggiamento di chi, chiamato da un’ora della storia, fa ciò che essa richiede, anche se così soccombe! Ad essi importava l’onore del popolo tedesco, la sua vita spirituale, la sua vocazione autentica. Per questo si sono ribellati contro il degrado e la distruzione causata al popolo da quelli che si proclamavano le sue guide, e la loro azione impotente se considerata da un punto di vista realistico, forse perfino folle, porta in sé questo significato ed è assurta a simbolo della nobiltà umana». Avviandosi alla conclusione del suo partecipato intervento, Guardini precisò che «la ragione non è affatto così misera come spesso si vuol far credere. Essa è vasta quanto il mondo. È la capacità di riflettere sugli ordini dell’esistenza…. Qui sono richieste altre virtù: il coraggio che abbandona il terreno protetto ed esce all’aperto perché sente una chiamata; la forza di cominciare, che rinuncia alle cose conosciute e ne osa di nuove, perché qualcosa di dentro la spinge; la prontezza che si mette a disposizione di ciò che non è ancora, ma che deve essere. Anche qui c’è un peso sulla cui base viene misurato l’uomo ed il suo agire: se è attento e risponde alla chiamata che giunge dallo spazio del possibile; se è puro in spirito e non confonde la chiamata con desideri egoistici; se è pronto a prendere su di sé le angosce e i dolori del divenire». (Romano Guardini, “La Rosa Bianca”, Morcelliana, 1994).

Sono trascorsi ottant’anni da quelle morti violenti. E c’è il rischio, se non proprio la certezza, che il passare inesorabile del tempo ne abbia offuscato la memoria. Allora è lecito domandarsi: come non lasciare appassire una rosa bianca? Riprendere confidenza con la memoria, cioè tornare ad imparare la novità di fare memoria, è avviarsi e procedere a buon passo nel presente.

Dal film La Rosa bianca, i fratelli Scholl