Tolleranti intolleranti

Perché è opportuno ricordare l’irragionevole campagna di sessantasette professori della facoltà di Fisica dell’università La Sapienza (Roma) contro la presenza di Benedetto XVI all’inaugurazione dell’anno accademico. Si trattò di un attacco preventivo contro la libertà di pensiero in nome di un malinteso e pericoloso significato di laicità. Quel 15 gennaio 2008 (quindici anni fa) Joseph Ratzinger rinunciò a partecipare. Non senza dolore. Non tanto per la sua persona, ma per la “visione” chiusa al desiderio di conoscere e di ricerca della verità che dovrebbe essere linfa vitale degli scienziati. Quella volta prese il sopravvento l’intolleranza illuminata. Quel giorno si spense la luce. Una lezione da non dimenticare. Soprattutto oggi.


27 gennaio 2023
Editoriale

©Joel-Meyerowitz – Provincetown

L’intolleranza di chi coltiva e predica la tolleranza non è solo un problema sulla carta, ma è un qualcosa che succede nella realtà di tutti i giorni, e con una certa qual frequenza. Farci il callo, è il rischio. Fare memoria dei casi più eclatanti è già istruttivo per farci i conti. Non può allora non essere ricordato l’episodio oltremodo indecente avvenuto nel gennaio del 2008 quando a papa Benedetto XVI, regolarmente invitato dall’allora rettore Renato Guarini per inaugurare l’anno accademico dell’università La sapienza (la data prevista, il 17 gennaio), venne impedito di intervenire e prendere la parola.

Censura preventiva
La furibonda campagna ostile venne portata avanti soprattutto da sessantasette professori “sapienti” della facoltà di Fisica con un documento reso pubblico il 27 novembre 2007; naturalmente paladini della cultura tollerante; lo ritenevano un ospite non gradito perché, come motivò il futuro premio Nobel per la Fisica Giorgio Parisi in un’intervista apparsa in quei giorni di forte polemica, il papa con le sue prese di posizione contro l’evoluzionismo aveva rotto il patto tra fede e scienza. Ovviamente, seppur a malincuore, il professor Ratzinger comunicò la sua rinuncia inviando comunque al Rettore il testo che avrebbe letto per l’occasione. Fu una pagina tristissima di censura preventiva, un esempio drammatico della crisi antropologica del soggetto. Tolleranti intolleranti: è l’epoca del corto circuito in servizio permanente effettivo. Ed afflittivo. Di certo non ne siamo usciti dal pericolo di vedere la ragione così sottomessa a un pregiudizio che giudica, insensibile alla questione della ricerca della verità (campo che dovrebbe interessare assai lo scienziato se scienziato).

©Giovanni Chiaramonte – Berlino

Sensibili alla verità
In un passaggio di quell’intervento, Ratzinger spiega con la dovuta completezza, calandosi dentro la complessità della convivenza in contesti ordinati e liberi (richiamando l’attenzione al pensiero di un grande filosofo quale è Jurgen Habermas, ultimo esponente della cosiddetta Scuola di Francoforte): «A questo punto s’impone un salto nel presente: è la questione del come possa essere trovata una normativa giuridica che costituisca un ordinamento della libertà, della dignità umana e dei diritti dell’uomo. È la questione che ci occupa oggi nei processi democratici di formazione dell’opinione e che al contempo ci angustia come questione per il futuro dell’umanità. Jürgen Habermas esprime, a mio parere, un vasto consenso del pensiero attuale, quando dice che la legittimità di una carta costituzionale, quale presupposto della legalità, deriverebbe da due fonti: dalla partecipazione politica egualitaria di tutti i cittadini e dalla forma ragionevole in cui i contrasti politici vengono risolti. Riguardo a questa “forma ragionevole” egli annota che essa non può essere solo una lotta per maggioranze aritmetiche, ma che deve caratterizzarsi come un “processo di argomentazione sensibile alla verità” (wahrheitssensibles Argumentationsverfahren). È detto bene, ma è cosa molto difficile da trasformare in una prassi politica. I rappresentanti di quel pubblico “processo di argomentazione” sono – lo sappiamo – prevalentemente i partiti come responsabili della formazione della volontà politica. Di fatto, essi avranno immancabilmente di mira soprattutto il conseguimento di maggioranze e con ciò baderanno quasi inevitabilmente ad interessi che promettono di soddisfare; tali interessi però sono spesso particolari e non servono veramente all’insieme. La sensibilità per la verità sempre di nuovo viene sopraffatta dalla sensibilità per gli interessi. Io trovo significativo il fatto che Habermas parli della sensibilità per la verità come di elemento necessario nel processo di argomentazione politica, reinserendo così il concetto di verità nel dibattito filosofico ed in quello politico». La lettura di quel prezioso contributo, liberata da pastoie di qualsiasi derivazione, è molto interessante. Oggi, in questo momento qui. Argomentare sulla necessaria riscoperta della sensibilità per la verità è un fattore decisivo di cambiamento di sé e degli altri. Per una convivenza normata, e cioè a fin di bene comune, in uno Stato per davvero laico. I tolleranti intolleranti a cosa sono sensibili se chiudono lo spazio alla verità? Forse, alla cultura della sopraffazione, quella a cui non frega nulla di argomentare. Appunto, il corto circuito della ragione.