La pace è testimonianza: la responsabilità dei cristiani

La guerra in Ucraina, la testimonianza di quel popolo, la ferocia di Putin. I richiami di papa Francesco e l’enciclica “Fratelli tutti”. La vita e la testimonianza di fede al tempo del totalitarismo sovietico. La novità del cristianesimo e la forza di una speranza che non si arrendono alla guerra mondiale a pezzetti. Parla padre Thomas Halik, un testimone della fede al servizio della verità. Una fede che promuove legami.


2 dicembre 2022
Conversazione con Thomas Halik a cura di Camillo Fornasieri

Il pensiero totalitario novecentesco, con il suo esercizio di dominio soffocante, ha inciso nel profondo nel destino dei Paesi dell’Europa orientale. Sotto il mantello per nulla protettivo di Mosca. La storia racconta di come la Chiesa ad Est ha testimoniato nelle condizioni più complicate. Un giovane cecoslovacco è rimasto segnato da personalità che hanno comunicato la bellezza di una fede vissuta con semplicità di cuore e speranza. Con gusto per la vita dentro una Chiesa che sapeva costruire.
Poi, una fase di buio. “L’istituzione Chiesa non ha saputo approfittare di quel che aveva generato nel periodo più complicato. Più duro. Un distacco, ecco. Anch’io ne ho patito. Ne ho sofferto, quasi ritraendomi. Poi, la rinascita. La nuova partenza. Un ritorno di novità incontrando i giovani. Ne ho battezzati più di tremila”.
Di nuovo la Chiesa capace di rispondere alla domanda dell’uomo. Padre Thomas Halik, sacerdote della Repubblica Ceca, del processo di trasformazione personale (diremmo, di conversione) e di trasformazione della Chiesa parla nel suo ultimo libro intitolato “Il Pomeriggio del cristianesimo” (Vita e Pensiero) scritto durante la pandemia. È transitato al Centro Culturale di Milano per un incontro dove l’occasione della presentazione del libro ha favorito una sua preziosa testimonianza per il Ciclo “Il punto di partenza”. Della centralità della fede cattolica nel contesto di un mondo ammalato.
A margine ha accettato di rispondere a qualche domanda per la nostra rivista “.CON”.

Qual è il suo giudizio in merito alla guerra in corso in Ucraina?

Io ritengo che la guerra in Ucraina non sia un fatto locale. Papa Francesco ha detto che è in atto una Terza guerra mondiale. Putin è l’Hitler del giorno d’oggi, la Russia uno Stato terrorista. Davanti a questa realtà è giusto che si risponda. È necessario tenere aperte le relazioni ma sarà impossibile aprire veri canali diplomatici con Putin. Se l’Europa dovesse non più supportare l’Ucraina la Russia vincerà la guerra. E questo fatto offrirà molti motivi validi a tutti i dittatori del mondo ad agire per avere il sopravvento. Quella in corso in Ucraina è una battaglia decisiva.

Recentemente a Praga migliaia di manifestanti hanno protestato contro la Nato, chiedendo la neutralità del Paese rispetto al conflitto in atto. Si tratta di un caso locale oppure lo ritiene un sentimento diffuso e che va allargandosi anche in altre parti dell’Europa?

Lo ritengo un caso molto isolato. La maggioranza del popolo della Repubblica Ceca sostiene in concreto gli Ucraini e supporta la Nato. Quella manifestazione è stata un’espressione di paura di fronte alle difficoltà economiche, ai prezzi che salgono. Per altro è stata strumentalizzata da demagoghi populisti che hanno approfittato della protesta per chiedere l’uscita del Paese dalla Nato. Aggiungo però che, due settimane dopo, il centro di Praga ha visto sfilare una grande manifestazione di sostegno all’Ucraina e alla Nato. Un supporto sincero, come succede in Polonia e, ad esempio, nei paesi Baltici. Certo, esiste una propaganda russa che in Europa ha una certa eco.

Praga, manifestazione

Quali analogie e differenze vede nell’invasione sovietica alla Cecoslovacchia nel 1968 e nell’invasione dell’armata russa della Ucraina?

Sono sicuramente maggiori le differenze. Nel 1968 l’Unione Sovietica aveva paura che le istanze di libertà e democrazia che domandava il nostro popolo potessero attecchire a Mosca. Come ha detto la storia, quelle istanze hanno influenzato anche la politica messa in campo dal presidente Michail Gorbaciov. Mentre Leonid Breznev, il presidente di quel momento, ne ebbe molta paura.
Anche Putin ha molta paura che la resistenza degli ucraini in nome della libertà e della democrazia possa influenzare il popolo russo. In merito alle differenze occorre ricordare che nel ’68 la Cecoslovacchia era una sorta di colonia dell’Unione Sovietica, quel che si dice un Paese satellite. Al contrario l’Ucraina è uno stato sovrano, indipendente. Dove il presidente Zelenski è stato eletto con elezioni libere.
Ciò che voleva fare Breznev era bloccare il nostro processo di liberalizzazione. Putin, invece, sta portando avanti un vero e proprio genocidio. Vuole distruggere lo Stato ucraino. Ritiene che non abbia il diritto di esistere. E che la lingua degli ucraini è niente più che un dialetto russo. Insomma, ci troviamo di fronte a una malvagità radicale.

© Robert-Herman – da The New-Yorkers

Che cosa può fare oggi un cristiano, a partire dal proprio cammino personale, per impegnarsi in modo realistico in favore della pace e non in modo astrattamente giusto?

La fede cristiana chiede di avere il coraggio di accettare tutta la realtà. Senza indugiare nelle illusioni. Questa è la sfida che Dio ci domanda. Si tratta di una situazione difficile a cui dobbiamo trovare una giusta risposta. Sono molto ispirato da una frase di papa Francesco contenuta nell’enciclica “Fratelli tutti”. Quando dice che si può togliere le armi dalle mani del nemico impedendogli di compiere il male. Ciò significa non collaborare con il nemico, ma bloccare le sue intenzioni malvage.

Il tema della pace nel mondo è decisivo. Qual è il nesso tra la guerra e le situazioni in cui i popoli vivono nell’oppressione, non possono vivere l’esperienza di una piena libertà? C’è una relazione tra la guerra mondiale a pezzetti e il fatto che molti Stati al loro interno negano la libertà?

La democrazia è più di un regime politico. Attiene alla cultura, alla relazione fra le persone. La democrazia presuppone un regime morale. Di dialogo, di supporto. E la libertà, il rispetto dei diritti umani sono la premessa della democrazia. Altrimenti si afferma il pensiero imposto dalla maggioranza. Perciò il rispetto della libertà religiosa, di espressione, dei diritti umani sono imprescindibili alla convivenza pacifica. Quando essi vengono violati spesso avviano situazioni di conflitto, appunto la guerra.
Diciamo che non vi sono guerre fra Stati democratici. Ma vi sono guerre nelle quali almeno uno dei contendenti è l’espressione di un regime totalitario.

© Robert-Herman – The New-Yorkers

Come si esprime il legame tra me che sono qui e le persone che stanno difendendo sotto le bombe la propria casa, il proprio futuro?

Dovremmo riuscire a sviluppare un senso reciproco di responsabilità e solidarietà. Non dimentichiamo mai che siamo parte di un’unica famiglia. “Dov’è Abele, tuo fratello?”, dice la Bibbia.
Teniamo sempre presente questa domanda. È fondamentale per sentirci legati gli uni con gli altri. Questa è la sfida per noi cristiani. Supportare tutti i nostri fratelli. E le nostre sorelle. Essere solidali. È un fatto di responsabilità a cui non possiamo sottrarci.
Davanti a quel che succede nel mondo, dovremo saper trasformare la globalizzazione esistente in un processo culturale fecondo. Una comunicazione tesa a promuovere la libertà, la libertà religiosa, il legame vero fra i diversi popoli. Il cristiano deve riscoprire nuovamente questo senso di responsabilità. La pace.