Lo stato delle cose e Byung Chul Han

Siamo nella società delle non cose. In un presente nel quale abbiamo smesso di vivere il reale. Ciò che è materiale non attrae più. La verità non rientra più nell’ordine terreno. Senza alcun dolore ci separiamo dalle cose che fino a ieri ci stavano tanto a cuore. Insomma, le cose stanno male nel contemporaneo. Le evidenze nel mondo non sono più così evidenti.
Siamo nell’epoca dell’informazione, della smaterializzazione. Della normalizzazione di un ordine attribuibile al trionfo del pensiero digitale. Al trionfo dell’incorporeo. È il capitalismo delle informazioni, del senza materia.
Il filosofo coreano Byung – Chul Han su questo presente e sul possibile futuro che ci attende ha scritto un saggio intitolato “Le non cose”. Non solo per prendere atto della gravità della situazione. Ma per prendere atto che il destino non è segnato è necessario tornare a rivolgere lo sguardo alla vita concreta, all’altro, alla comunità. Le belle cose artigianali scaldano il cuore. 


18 novembre 2022

Marlene Dumas – The Visitor, 1995 – esposta nella mostra open-end a Palazzo Grassi, Venezia

Ma in realtà come stanno le cose? Nel contemporaneo – dove il mondo si fa sempre più inafferrabile, nuvoloso e spettrale e dove le evidenze non sono poi così evidenti (la guerra, il Covid, i diritti, i doveri, eccetera) – non proprio uno splendore. Sembra che si viva avendo smarrito il contatto con il reale.
Con le cose concrete, ordinarie, quotidiane. Oggi ciò che è materiale è ritenuto secondario, poco interessante, per nulla attraente. Il fascino per la smaterializzazione è molto… concreto; si esprime con un distacco sostanziale dalla realtà fattuale. Perché, come scrive il filosofo coreano Byung Chul Han «abbiamo smesso di vivere il reale». Affascinati e storditi dalle “non cose”.

Marlene Dumas Losing (Her Meaning), 1988

La società dell’infosfera
Il suo ultimo saggio, agile nella forma, provocatorio nei contenuti, godibile pur nella drammaticità della fotografia che scatta, proprio di quel “non” parla.
Titolo: “Le non cose”: Sottotitolo: “Come abbiamo smesso di vivere il reale” (Einaudi Stile Libero). Byung – Chul Han attribuisce tale svolta al processo avvenuto di normalizzazione dell’ordine digitale. Il pensiero digitale permea tutto. Qui, siamo bel oltre i vantaggi che reca l’utilizzo dello strumento digitale.
È l’incorporeo: un mondo senza sangue e ossa. Siamo alla convivenza/connivente con la società post- fattuale dell’informazione apice dell’ordine digitale. Nell’infosfera si rifuggono le cose. La digitalizzazione disumanizza il mondo. È il dominio dell’informazione truffaldina che spaccia per libertà qualcosa che non è cosa. Viene posta la parola fine sulla verità.
Sipario, La verità dei fatti è adesso una non questione. Non riguarda più questo presente. Il pensatore coreano riflette e traduce così l’allarme che non sentiamo, ovvero a cosa sta portando lo stato delle non cose, dove siamo dentro fino al collo, per qualcuno almeno obtorto collo. Scrive: «Oggi corriamo dietro alle informazioni senza approdare ad alcun sapere. Prendiamo nota di tutto senza imparare a conoscerlo. Viaggiamo ovunque senza fare vera esperienza. Comunichiamo ininterrottamente senza prendere parte a una comunità. Salviamo quantità immani di dati senza far risuonare i ricordi. Accumuliamo amici e follower senza mai incontrare l’Altro. Così le informazioni generano un modo di vivere privo di tenuta e di durata». Le cose mutano in “info”.
Il famoso cambio di paradigma ha nell’invadenza della cultura delle non cose uno dei punti d’attacco più manifesti. Non c’è più il gusto di possederle le cose. Materialmente e piacevolmente possederle.

Marlene Dumas – Measuring Your Own Grave, 2003 ©2008 Marlene Dumas, photo by Andy Keate

La verità e la realtà delle non cose
Siamo nel pieno del capitalismo delle informazioni, del capitalismo dell’immateriale. C’è un’altra realtà. C’è un’altra verità.
C’è la realtà e la verità delle non cose. Si vive secondo l’ordine del non c’è. Viene meno l’esigenza del contatto fisico, viene meno il desiderio dei legami, viene meno la vita per come fin qui l’abbiamo conosciuta. Sparita la vita analogica perché tutto è digitale. È l’informe che dà forma. Tutto si slega, tutto si de-struttura. Così facendo, scuote Chul Han, scompare la differenza tra cultura e commercio.
Ecco come ci arriva: «La cultura ha la propria origine nella comunità. Essa trasmette i valori simbolici alla base di ogni comunità. Più la cultura diventa merce, più si allontana dalla propria origine, La commercializzazione e mercificazione totale della cultura provoca la distruzione della comunità.
La community spesso evocata dalle piattaforme digitali è una forma merceologica di comunità. Una volta divenuta merce, la comunità cessa di esistere». La digitalizzazione, spiega l’autore, fa scomparire l’Altro come sguardo. Scrive proprio con la maiuscola la parola Altro.
Senza lo sguardo dell’Altro si de-realizza la vita. La vita, cioè, diventa irreale. Realmente irreale in sopraggiunta assenza di realtà.
Il libro fornisce un numero cospicuo di esempi che vengono a certificare la progressiva affermazione dell’ordine digitale delle non cose. Ormai sembra mancare la possibilità di vivere un’esperienza di presenza. Un’esperienza cosale. Sembra, però. Byung-Chul Han, infatti, azzarda un’ipotesi di cammino per così dire “analogico”, terra terra, dunque molto materiale.
Pur vedendola alquanto complicata come possibilità concreta: «L’esperienza della presenza presuppone un’esposizione, una vulnerabilità. Senza ferite, alla fin fine odo solo l’eco di me stesso. La ferita è l’apertura, l’orecchio teso all’Altro. Oggi tali attimi epifanici non sono più possibili, anche solo per il fatto che l’ego va rafforzandosi, non si lascia quasi più toccare dalle cose».
Lo stare dell’uomo con i piedi per terra non è dunque all’ordine del giorno. Di questo ordine nuovo delle non cose. Di questo ordine del disincarnato. Di questa connessione continua sconnessa con il reale, con lo stato delle cose.

Letizia Fornasieri – Mani di Annetta, 2002 © Galleria Rubin

Byung-Chul Han è un critico severo, lucido, sferzante della contemporaneità. Rassegnato? Non diremmo.
Si appoggia a un pensiero di Rainer Maria Rilke per ritrovarsi, riprendersi e riprendere il dialogo con la cosa incarnata: «Voglio assopirmi, una volta almeno, accanto a ogni cosa, stancarmi del suo calore, sognare al ritmo del suo respiro, su tutte le mie membra sentire quella cara, libera, ignuda vicinanza, rafforzarmi al profumo del suo sonno, e presto, di mattina, prima che si desti, prima di ogni addio, riprendere il cammino, riprendere il cammino…».
Lasciamo alla curiosità del lettore la scoperta di altri passaggi che fa l’autore per motivare l’io ad abbandonare il destino di una rassegnata sconfitta.
Tanto più che per il filosofo coreano nel mondo delle non cose il destino non è contemplato. Anche il destino avverso. Pensiamoci su. 

Letizia Fornasieri – Violette – olio su tela, 2022