La narrazione visiva travolta dall’enfasi che annulla la vita vera

Considerazioni dopo la visione di “Tiziano, l’impero del colore”, film che a breve andrò in onda sulla piattaforma Sky. La troppa accentuazione della spettacolarizzazione enfatica conduce chi guarda il film dalla parte sbagliata: allontana dal cuore, trascina l’artista in territori che non sono i suoi: in pratica sparisce. Un processo di meccanicizzazione che ne fa un guerriero da ok Corral. Nulla o quasi per raccontare di un gigante dell’arte. Un film perfettamente in sintonia con un clima comunicativo – culturale dedito alla contraffazione. Che tende ad alzare i toni con l’effetto di abbassare drammaticamente la qualità della proposta. Preferibile, allora, tornare alla vecchia formula divulgativa così cara a Piero Angela.


di Walter Gatti
21 ottobre 2022

Siamo davvero certi che la spettacolarizzazione enfatica e battagliera della divulgazione storico-artistica sia il miglior linguaggio televisivo? La domanda sorge spesso. Personalmente me la sono posta alcuni giorni fa andando a vedere “Tiziano, l’impero del colore”, di Laura Chiossone e Giulio Boato. L’idea era di andare a vedere su grande schermo un prodotto che tra poco probabilmente sarà visibile anche su Sky (il colosso del satellite è tra i produttori).

La storia del pittore cadorino è affascinante: arriva a Venezia dai monti veneti, si fa strada nella grande competizione che l’arte vive tra Canal Grande e Palazzo dei Dogi, giunge a Mantova e Ferrara, e poi alla corte di Carlo V e di Papa Paolo III. Muore di peste, dopo aver perso una moglie-compagna (di parto), aver visto la scomparsa dell’amata figlia Lavinia, ed aver goduto in pari grado di dolori e soddisfazioni dai due figli Pomponio e Orazio.

Senza dolore e rabbia

Il film si lascia vedere un po’ perché Venezia, nella sua unicità, è spesso protagonista visiva della scena, un po’ perché avere a che fare con l’Assunta dei Frari e il Carlo V a cavallo non può che facilitare il lavoro di chiunque. Eppure questo lavoro cinematografico lascia una perplessità e un fastidio sottaciuto in chi sta a guardare. Anzi: in chi sta ad ascoltare. È infatti la narrazione, il tono di chi tira le fila e lo sviluppo della vicenda complessiva di Tiziano a lasciare perplessi. In più di un’occasione la solita voce fuoricampo (in perfetto stile Sky) avverte l’ascoltatore: “E da questo punto in poi Tiziano prende le mosse per andare alla conquista del mondo”. È vicenda di conquista? È storia di una battaglia? Tono affermativo e generalesco del narratore, fanno il paio con un montaggio che ha soprattutto l’obiettivo di condurre lo spettatore dentro ad un clima da sfida all’Ok Corral. “Qui sta per accadere qualcosa di losco”, sembra suggerire lo sviluppo del prodotto, “e d’altra parte qualcosa di losco è quello che vi attendete voi, non è vero?”. Non c’è sensualità (nonostante la tanta pelle e le ricorrenti tette), non c’è sacro (nonostante le riprese in chiesa), non c’è amicizia, amore, sotterfugio, miseria e nobiltà, figliolanza e ricchezza, dolore e rabbia: nulla di questo viene rappresentato o suggerito, perché il tono (visto ed ascoltato) che tutto soverchia è quello monocorde dell’imminente tracollo.

Cliché da rotocalco

Nei fatti lo stile di certe produzioni “approvate” da Sky è sempre lo stesso: potrebbe essere la battaglia delle Midway, invece che il racconto della finale di Champions, e invece è la storia di Tiziano Vecellio, che viveva in una Venezia (ci dice lo story e lo confermano alcuni esperti che intervengono) in cui le donne avevano un ruolo importante, riconosciuto ed apprezzato, e in cui i figli nati all’interno di coppie “non sposate” vivevano una vita tranquilla, comoda positiva.

Tono complessivo, incapacità di cambio di registro, voce militaresca e assertiva del narratore, valori corretti, storia raccontata per sommi capi, con profusione del rallentatore su colori e pigmenti, pennelli e tavole, modelle e corpi morbidissimi: è un cliché da rotocalco o ci troviamo di fronte ad un gigante dell’arte? È Tiziano Vecellio o Erwin Rommel (che pure aveva il suo perché….)? 

Il trionfo del “tutto emozionale”

In una qualche maniera il Crozza dell’epico Kazzenger, che ironizza sullo stile e sull’approccio divulgativo di Roberto Giacobbo, vale anche per la tipologia di docu-film storico-artistici che Tiziano (e tante produzioni Sky) rappresentano. E noi, che spettatori siamo, possiamo evidentemente evitare di vedere questi prodotti, anche perché fortunatamente esistono isole (lo “stile Piero Angela”, rigidamente didattico, rimane a conti fatti più “vecchio” ma piacevole) in cui rifugiarsi.

Rimane il dubbio che lo stile di questo prodotti possa avere successo, a riprova del fatto che oggi funziona quello che è drammatizzato, e che nell’epoca del “tutto emozionale” funziona bene quello che risponde alle parole d’ordine di “battaglia”, “enfasi”, “stato emozionale”. Tutto ciò che non si ascrive a questo clima comunicativo-culturale, ha poco spazio (chissà se avrà futuro). Sembra che questo valga un po’ ovunque nel nostro simpatico presente, dalle telecronache sportive al rap, da Amici alle risse nei talk show politici (che non sono poi così differenti). Per fortuna che le opere di Tiziano sopravvivono a questo scempio narrativo.


Immagini:

– (1) Tiziano dal docufilm ispirato a Tiziano
– (2) Tiziano, autoritratto
– (3) Tiziano Vecellio, particolare de L’Assunta, S. Maria dei Frari, Venezia
– (4) Tiziano, Danae