Nel mezzo di una verità Louise Glück. Le rivelazioni necessarie dentro le compromissioni della vita.
L’arte di poetare fuori norma è la cifra di Louise Glück, premio Nobel 2020 per la letteratura. Come fuori norma è stata la sua vita con cui mai, però, ha evitato di compromettersi. E la pietra d’inciampo della realtà quotidiana si è fatta occasione per far divenire la parola un intoppo necessario, quanto rivelatore di altro. Di essenzialmente altro. Un fecondo rapporto creativo che, seppur coltivato in territori accidentati, s’offre come ineluttabile apertura. Quasi come risposta a una chiamata.
Luigi Sampietro
8 luglio 2022
Louise Glück. Cresciuta in una famiglia in cui «ciascun componente pensava sempre di poter completare la frase detta da un altro», la poetessa ha trovato ispirazione nell’intoppo della parola e negli equivoci.
«Ero nata con una vocazione:| testimoniare| i grandi misteri». Ed era, quella di Louise Glück Premio Nobel 2020 per la letteratura, una chiamata poetica e quasi profetica – tra la vita e la morte, «un po’ per celia e un po’ per non morire» – che veniva da lontano.
Da un’adolescenza compromessa dall’anoressia; e, prima ancora, da un’infanzia turbata dalla perdita di due sorelline, una delle quali scomparsa prima che lei nascesse. Ma è soprattutto un episodio di cui parla in un capitolo di Proofs and Theories (1994) che si intitola «Education of a Poet». A illuminare quel tanto di esoterico ed oracolare che talora fa capolino nella sua opera. Aveva forse otto o nove anni e alla guida dell’automobile che la portava a scuola c’era la mamma di una sua compagna, la quale a un certo punto le chiese di recitare ad alta voce la poesiola che aveva composto come compito a casa.
“La cosa di cui ero tutta orgogliosa”, ricorda la Glück, era l’inversione metrica (anche se allora non sapevo che così si chiamasse) nell’ultimo verso, avevo scelto una parola che non faceva rima e che al mio orecchio era davvero elettrizzante. Una sorta di esplosione finale. “Bella poesia, proprio bella”, fu il commento della signora al volante, “manca però la rima, alla fine”. Inferocita per il disappunto, la piccola Louise non avrebbe mai dimenticato quell’episodio.
Incompresa e come ingabbiata dentro di sé, vedeva svanire la intravista possibilità di riconoscere «lo sbaglio di Natura, | il punto morto del mondo, | l’anello che non tiene, | Il filo da disbrogliare» – diremmo noi usando le parole di Eugenio Montale – che la mettesse «nel mezzo di una verità”, la sua verità».
La scabrosa gestazione di una poesia
Era cresciuta infatti a Long Island in una famiglia ebraica di origine ungherese, amorevole e molto unita ¬– assai perbene –, in cui «ciascun componente pensava sempre e in tutta sincerità di poter completare la frase detta da un altro»; mentre le sue percezioni – sue, di lei bambina ¬– non sempre corrispondevano a quel che lei ascoltava e vedeva. E solo quando le parole così come i silenzi o una casuale frattura nella scansione della frase aprivano un varco nella superficie della realtà, la sorpresa sopperiva alle assenze e medicava il disagio. Attenuava lo smarrimento. E la comparsa di un nuovo, ovvero di un qualsiasi significato, rimetteva il debito per le proprie o le altrui mancanze e insufficienze.
Ed erano, quelle, vere e proprie rivelazioni in cui l’intoppo della parola veniva ad assumere il valore di una biblica pietra d’inciampo.
Possibile quanto necessaria – la piccola Glück si sarebbe resa conto col passare del tempo – nella scabrosa gestazione di una poesia. La cui ispirazione – o, meglio: avvio – avveniva molto spesso proprio a seguito di una distonia nell’espressione o di un equivoco nel significato delle parole.
Di una “dislettura” deliberata o di un fortuito scarto dalla norma. Come nel caso, per esempio, di certi termini che si pronunciano allo stesso modo ma hanno un valore diverso; e che, pur mandando l’enunciato in corto circuito, finiscono per indirizzare la mente verso un insospettabile e inedito significato.
Ricordo una recente esibizione pubblica in cui la stessa Glück, prima di iniziare a leggere, si fece premura di avvertire i presenti del fatto che un paio di termini omofoni – “nay”, arcaico per dire “no”; e “neigh”, che vuol dire “nitrito” o “nitrire” – si sarebbero intrecciati nel corso della recita e avrebbero costretto gli ascoltatori a «disbrogliare» il tutto per proprio conto.Allo stesso modo, il titolo del suo ultimo libro, Notte fedele e virtuosa, tradotto di recente da Massimo Bacigalupo (ospite del CMC lo scorso marzo per una serata su Pound) per Il Saggiatore, è in realtà la trascrizione di un involontario calembour infantile: «At the time of which I’m spealing | my brother was reading a book he called | the faithful and virtuous night».
Va da sé, come spiega opportunamente Bacigalupo a piè di pagina, che il libro nelle mani del ragazzino non riguardava la notte (“night”) bensì un cavaliere (“knight”) fedele e valoroso…
Insofferente all’effimero
La poesia della Glück nasce insomma da una «intensità di percezione», che la porta a leggere la realtà in una chiave tutta sua. Personale e arcana allo stesso tempo.
Quasi cabalistica. Come se il dato dell’esperienza derivasse da un dettato soprannaturale che si manifesta qui ed ora, nel mondo creato, ma il cui significato proviene dall’eterno; e i fiori, per fare un esempio, hanno un referente esplicito nella figura stessa della divinità con la quale la voce narrante si trova talora ad interloquire (Iris selvatico, 1992).Una visione «insofferente di tutto ciò che è effimero e transitorio», che addita alle cose ultime: a ciò che è immutabile e permanente. E la scrittura, che è spesso ellittica e sibillina, con una estensione sintattica che varia – che si distende e ritrae, e che talvolta si spegne nel silenzio a metà di una frase –, prende sovente le mosse da un esame introspettivo – psicanalitico – della sua storia privata; ma non insiste, volutamente, sulle minutiae di una poesia che possa dirsi “confessionale” (Against Sincerity, 1993).
È il motivo per cui la vicenda del suo primo matrimonio, finito in divorzio ¬– per fare un altro esempio – viene tonicamente trasferita nella coscienza di personaggi classici, cioè più che collaudati, presi a prestito dall’Odissea (The Meadowlands,1996).
Un accorgimento, questo, che è solo una variante espressiva in un’opera il cui tono è spesso dolorante, e che adotta in maniera provvisoria ciò che è strettamente confidenziale e privato per portarlo sul piano oggettivo della leggenda.
Un’apertura che è sempre una forma di partecipazione.
Mattutino
Padre irraggiungibile, quando all’inizio fummo
esiliati dal cielo, creasti
una replica, un luogo in un certo senso
diverso dal cielo, essendo
pensato per dare una lezione: altrimenti
uguale… la bellezza da entrambe le parti, bellezza
senza alternativa… Solo che
non sapevamo quale fosse la lezione. Lasciati soli,
ci esaurimmo a vicenda. Seguirono
anni di oscurità; facemmo a turno
a lavorare il giardino, le prime lacrime
ci riempivano gli occhi quando la terra
si appannò di petali, qui
rosso scuro, là color carne…
Non pensavamo mai a te
che stavamo imparando a venerare.
Sapevamo solo che non era natura umana amare
solo ciò che restituisce amore.Aprile
Nessuna disperazione è come la mia disperazione…
Non avete luogo in questo giardino
di pensare cose simili, producendo
i fastidiosi segni esterni; l’uomo
che diserba cocciuto tutta una foresta, la donna che zoppica, rifiutando di cambiar vestito
o lavarsi i capelli.Credete che mi importi
se vi parlate?
Ma voglio che sappiate
mi aspettavo di più da due creature
che furono dotate di mente: se non
che aveste davvero dell’affetto reciproco
almeno che capiste
che il dolore è distribuito
fra voi, fra tutta la vostra specie, perché io
possa riconoscervi, come il blu scuro
marchia la scilla selvatica, il bianco
la viola di bosco.Fine dell’estate
Dopo che mi vennero in mente tutte le cose,
mi venne in mente il vuoto.C’è un limite
al piacere che trovavo nella forma…In questo non sono come voi,
non ho risoluzione in un altro corpo,non ho bisogno
di un riparo fuori di me…Mie povere ispirate
creazioni, siete
distrazioni, in ultimo,
puri inceppi; siete
alla fine troppo poco simili a me
per piacermi.E così candide:
volete essere ripagate
della vostra scomparsa,
pagate tutte con qualche parte della terra,
qualche ricordo, come una volta eravate
compensate per il lavoro,
lo scriba pagato
con argento, il pastore con orzo
per quanto non è la terra
a durare, non
queste schegge di materia…Se apriste gli occhi
mi vedreste, vedreste
il vuoto del cielo
specchiato in terra, i campi
di nuovo nudi, senza vita, coperti di neve…
poi luce bianca
non più travestita da materia.Tramonto
La mia grande felicità
è il suono che fa la tua voce
chiamandomi anche nella disperazione; il mio dolore
che non posso risponderti
in parole che accetti come mie.Non hai fede nella tua stessa lingua.
Così deleghi
autorità a segni
che non puoi leggere con alcuna precisione.Eppure la tua voce mi raggiunge sempre.
E io rispondo costantemente,
la mia collera passa
come passa l’inverno. La mia tenerezza
dovrebbe esserti chiara
nella brezza della sera d’estate
e nelle parole che diventano
la tua stessa risposta.Primogenito
Le settimane passano. Io le ripongo,
Sono tutte uguali, come barattoli di minestra scorticati…
I fagioli inacidiscono nel pentolino. Guardo la cipolla
isolata
Che galleggia come Ofelia, incrostata d’unto:
Tu svogliato, giochi col cucchiaio.
E adesso? Ti mancano le mie premure? Il tuo cortile matura
In un padiglione di rose, come un anno fa quando suore di servizio
Mi spingevano lungo la corsia…
Tu non potevi guardare. Vidi
L’amore convertito, tuo figlio,
Sbavare sotto vetro, affamato…
Mangiamo bene.
Oggi il mio macellaio spunta il suo coltello esperto
Sul vitello, la tua passione. Io pago con la mia vita.Inizio di Dicembre a Croton-on-Hudson
Lance di sole. Lo Hudson si
Scheggia di ghiaccio.
Sento i dadi d’osso
Della ghiaia nel vento scricchiolare. Pallida
D’osso, la neve recente
Aderisce come pelliccia al fiume.
Stasi. Partivamo per consegnare
Regali di Natale quando scoppiò la gomma
L’anno scorso. Sopra le morte valve pini cimati
Da un temporale stavano, i rami spogli…
Ti voglio.Secondi
Anelavo, essendo restata così a lungo
Vuota, a quel che lui aveva, durezza
Che (mio figlio già un ragazzo)
Ancora mi risucchiava verso quell’anello, quella benedizione.
Sebbene sapessi come in lui sia
Debolezza: oziando nel gin
Tesse qualche minaccia obliqua finché
Mi storcerà un braccio, o ciò che dico – mio figlio
Sta già rigido sull’uscio, vedendo tutto,
E poi quel pugno veloce sferza il mio unico
Bambino, la mia vita… Certo che m’importa.
Guardo le vicine che accorrono
Coi loro punti di vista. Ora enorme di torta la loro
Faccia bianca levita sopra la sua tazza; sorridono,
Donne infossate, succhiando il loro tè…
Lascerei che la casa andasse in fiamme per questo fuoco.
Immagini (in ordine di apparizione):
Louise Gluck, Nobel Prize for Literature 2020
© Joel Meyerowitz / Cape Code
© Andrew Wyeth/ painting
© Joel Meyerowitz / Cezanne atelier
Louise Gluck
© Collection Paul Ernest