Altri fronti
Il Califfato esiste ancora

L’Occidente pensa che il pericolo dell’Isis sia ormai una partita vinta per sempre. Le cose non stanno così. Quella realtà non è stata debellata. E continua ad essere un rischio reale per le popolazioni. Prosegue infatti un forte indottrinamento dei più giovani in più territori. Vere e proprie sacche autonome. Ma la galassia islamica dialogante, quella che ha accettato il confronto con papa Francesco è chiamata ad assumere impegni coraggiosi per indicare una convivenza diversa. Come quelli suggeriti nel pieno rispetto della loro cultura e sotto forma di domande, da Benedetto XVI nello storico e troppo in fretta liquidato discorso a Ratisbona


22 aprile 2022
di Andrea Avveduto

Al culmine del suo potere, lo Stato Islamico ha governato milioni di persone in una dimensione territoriale paragonabile all’Austria. Un successo militare impressionante, ottenuto con la complicità di una forte instabilità politica in Medio Oriente.
Il suo principale Leader, il sedicente Califfo Abu Bakr Al Baghdadi, ha dichiarato la nascita del nuovo regno islamico globale il 29 giugno 2014 nella moschea di Mosul, prima di entrare nella Siria dilaniata dalla guerra e occupare ben un quarto del paese. Il suo non era solo un piano di conquista territoriale: erano tanti i gruppi di jihadisti che in quel periodo si ispiravano a quel movimento politico terrorista per portare paura anche nel cuore dell’Europa con gli attentati terroristici. Tutto questo fino al 2019, quando l’uccisione del Califfo e la distruzione degli ultimi residui di potere nella regione fecero calare il sipario mediatico sul sogno di un nuovo califfato.
Da allora non si è (quasi) sentito più nulla a riguardo del Daesh a livello mainstream, anche se le truppe del califfato legate al Daesh sono attive ancora in trenta paesi tra cui Egitto, Mali, Mozambico fino al Caucaso e il sud est asiatico.
Anche la morte del Califfo non ha limitato il sorgere di nuovi gruppi affiliati all’ideologia islamista che ha devastato il Medio Oriente tra il 2014 e il 2017. In tanti casi si è trattato di un franchising, cioè di gruppi in gran parte decentralizzati ma afferenti a una struttura che rimane per ora intatta.
L’uccisione dei leader negli ultimi anni ha assunto certamente una rilevanza a livelli internazionale (soprattutto in termini di intelligence), ma questo non significa che l’ISIS sia stato debellato dal campo di battaglia.
Se guardiamo all’Iraq di oggi, soprattutto nelle zone vicine al Kurdistan, ci sono alcune sacche che sono tornate di nuovo sotto la guida dello Stato Islamico.
La dinamica è molto spesso simile: si approfitta di qualche instabilità a livello regionale, e si costringe il rivale ad abbandonare il territorio, instaurando una garanzia di sicurezza per gli abitanti.
L’ultima fase riguarda l’installazione di un’amministrazione funzionale, anche se tanti analisti sono d’accordo nell’affermare che non è il principale bisogno dello Stato Islamico in questo momento.

Indottrinamento endemico

L’idea che il califfato sia scomparso nel momento in cui sono stati riconquistati i territori presi tra Iraq e Siria appartiene solo all’Occidente: nella mente dei suoi sostenitori, il califfato esiste ancora. Perché?
Innanzitutto perché il califfo, il successore, è una figura che venne istituita nel giorno della morte di Maometto. Non è prevista nel testo sacro, ma nasce dall’esigenza di dare una continuità all’opera del profeta, poiché alla sua morte Maometto non aveva indicato un suo successore alla guida della comunità.
Ecco dunque le ambizioni cercate a lungo da un Islam politico e desideroso di riscatto: rivendicare un sogno infranto nella prima metà del secolo scorso, quando Ataturk fondò la nazione turca e cacciò l’ultimo successore del Profeta, Abdul Megid II, abolendo di fatto il Califfato.
Eppure, secondo fonti statunitensi, ci sarebbero almeno 62000 sospettati di essere affiliati all’ISIS nel campo di al-Hol in Siria. Due terzi di loro avrebbero meno di 18 anni, e la metà sotto i dodici. Il generale McKenzie ha recentemente dichiarato che il rischio reale sia di unindottrinamento endemico all’interno della popolazione dell’ideologia islamista.
E poco importa se l’esercito statunitense ha ucciso anche il primo successore di al-Baghdadi. I danni per lo Stato Islamico sono relativi: al-Qurayshi non aveva la statura internazionale del califfo precedente.
Il destino dell’organizzazione terrorista dipende, più che dai suoi leader, dalle condizioni politico-economico-sociali dell’area su cui i miliziani si trovano. L’ISIS non è più uno Stato e dopo le pesanti sconfitte degli ultimi anni non amministra più un territorio grande come prima (è piuttosto, come abbiamo visto, ripiegato su certe sacche); ma l’assenza di risposte alle rivendicazioni di tutta o parte della popolazione locale continuerà a fornire pretesti per la creazione di un nuovo manipolo di potenziali jihadisti. In Siria – come si si è visto – con il recente assalto alla prigione di Gweiran. Ma non solo.
Ci sono anche altre ragioni che ci obbligano a tenere alta l’attenzione su questo fenomeno che esprime parte della rabbia islamista esplosa dopo un secolo particolarmente grave (dal loro punto di vista). Innanzitutto non abbiamo avuto nessun segnale di condanna anche da parte dei nostri alleati arabi, da sempre compratori di armi e finanziatori del peggior jihadismo internazionale.
Perché si sa, anche i gruppi terroristici possono far comodo, soprattutto se utilizzati in chiave di alleato contro nemici più grossi.
E poi c’è anche un’altra ragione, più profonda, e forse più decisiva. Che va spiegata innanzitutto con una premessa. Il mondo musulmano – lo abbiamo in parte visto – è dominato da un caos generale, ed è consapevole di vivere una grande frammentazione al suo interno.
Tante verità si intrecciano in discorsi più o meno autorevoli, presentati da figure mai riconosciute universalmente. Ed è bene notare come poco dopo l’insediamento di al Baghdadi a Mosul alcuni sapienti gli inviarono una lettera con il titolo: “tu non capisci l’Islam”.
Non concentriamoci ora sui contenuti e guardiamo solo i fatti: al Baghdadi costrinse di fatto questi saggi a confrontarsi con lui, e l’ISIS non era solo una scemenza da liquidare in fretta. Tanto che nella lettera si ammetteva possibilità di una restaurazione del Califfato. Semplicemente non riconoscevano in lui una guida adeguata.

La sfida posta da Ratzinger

Eccoci allora di fronte alla sfida più importante che l’intera galassia islamica deve affrontare.
La pose coraggiosamente Benedetto XVI a Ratisbona, nel discorso che gli costò pesanti critiche e incise profondamente sul dialogo interreligioso. Ecco le sue parole, citando Emanuele II: “Dio non si compiace del sangue – egli dice -, non agire secondo ragione, è contrario alla natura di Dio. La fede è frutto dell’anima, non del corpo. Chi quindi vuole condurre qualcuno alla fede ha bisogno della capacità di parlare bene e di ragionare correttamente, non invece della violenza e della minaccia… Per convincere un’anima ragionevole non è necessario disporre né del proprio braccio, né di strumenti per colpire né di qualunque altro mezzo con cui si possa minacciare una persona di morte…” In molti ricordano solo la citazione che riguardava Maometto, e non la magistrale lezione che ne seguì.
Benedetto non fu capito, purtroppo, e dopo l’ondata di critiche che riempirono la stampa nostrana e internazionale, la vicenda venne archiviata.
Dobbiamo però tornare a Ratisbona, perché in quel discorso papa Benedetto pose due domande fondamentali, riassunte e analizzate poi da diversi intellettuali.
La prima domanda riguardava la libertà religiosa: “Possono i musulmani trovare, all’interno delle loro risorse intellettuali e spirituali, argomenti islamici a favore della tolleranza religiosa?”
La seconda domanda riguardava invece la struttura delle società islamiche: “Possono i musulmani trovare, sempre all’interno delle loro risorse intellettuali e spirituali, argomenti islamici per distinguere tra autorità religiosa e politica in uno Stato giusto?” Per Ratzinger il “dialogo interreligioso tra cattolici e musulmani dovrebbe concentrarsi su questi due temi”.
E sotto questo aspetto, la Chiesa avrebbe anche qualcosa da dire, visto che è riuscita a separare il potere temporale da quello spirituale “giocando un ruolo chiave nella società civile, ma non esplicitamente nel governo, e senza arrendersi alla filosofia politica secolare”.
Un simile processo sarà possibile anche all’interno dell’Islam, fino a toccare anche le ideologie islamiste?
Passi avanti sono stati fatti, non c’è dubbio. Fratelli tutti, l’enciclica dell’ottobre 2020 di papa Francesco e gli incontri con i due maggioriesponenti dell’islam sciita e quello sunnita sono segnali positivi, ma vanno portati avanti da altre figure coraggiose all’interno delle due principali galassie islamiche.
Altrimenti muterà solo forma, ma il jihadismo continuerà a seminare morte e terrore.
Che sia Isis o al Qaeda: è solo una questione di nome.