I pilastri della guerra
Gli ideologi di Putin

Chi sono i cattivi maestri del presidente russo che fanno da cappello ideologico a tutte le sue operazioni, all’interno come all’esterno? Certamente Ivan Il’in, che fu grande ammiratore di Mussolini e Hitler e Aleksandr Dugin, ultranazionalista che spinge per assoggettare l’Occidente debosciato alla Madre Russia. Ma anche un certo ambiente del patriarcato ortodosso. Un complesso di istanze imperiale che il presidente sta traducendo in pratiche. Come dimostra l’invasione dell’Ucraina.


22 aprile 2022
di Marta Dell’Asta

Putin ha una sua ideologia? Si direbbe di sì, a giudicare dal reiterarsi di certe argomentazioni nei suoi discorsi e nei suoi scritti (ad esempio nell’articolo «storico» che ha pubblicato nel luglio scorso a proposito della non esistenza dell’Ucraina), e anche dal fatto che cita dei filosofi come suoi «maestri».
Va anche detto, però, che nei suoi discorsi ufficiali talvolta il presidente russo ha mostrato una certa capacità mimetica e situazionale, finendo per affermare cose che vanno in rotta di collisione con la sua narrazione abituale (di una Russia perfetta e senza colpa alcuna nel suo passato), come ha fatto ad esempio nel 2010 a Katyn’, nell’anniversario dell’eccidio dei polacchi, o nel 2017 a Mosca, per l’inaugurazione del monumento alle vittime del totalitarismo, quando ha parlato di un passato che non si cancella, e di violenze che non si devono mai più ripetere.
Ma nonostante tutto, nel suo percorso politico ciò che si nota è soprattutto l’emergere sempre più esplicito di un fil rouge di opposto tenore, costituito da un complesso di idee che oggi trovano carne nella guerra contro l’Ucraina e che, affermando un’ideologia tutta costruita a tavolino, contrastano in maniera radicale con la realtà storica e fattuale.

La vittimizzazione della Russia

È stato Putin stesso, in diverse occasioni, a citare alcuni filosofi russi del primo ‘900 come sua fonte d’ispirazione, ma l’autore che ha citato con più insistenza (già a partire dal 2005) è il filosofo Ivan Il’in.
Il’in (1883-1954) è stato un pensatore russo anticomunista che durante la rivoluzione ha aderito al movimento dei bianchi e successivamente è emigrato in Svizzera. Qui si è distinto come ammiratore prima di Mussolini e poi di Hitler, auspicando che la Russia, una volta che si fosse liberata del comunismo, potesse essere retta da un potere autoritario.
I suoi temi erano lo spirito antioccidentale e il rifiuto della cultura europea, e quindi la scelta per l’Eurasia; un suo leitmotiv era anche la vittimizzazione della Russia eternamente invasa, aggredita, vilipesa, assediata.
Auspicava che, sul modello di ciò che aveva fatto il popolo tedesco (con il nazismo, appunto), anche il popolo russo, potesse un giorno realizzare la sua grande revanche.

Un compendio significativo del suo pensiero si trova in un testo del 1933, dove Il’in scrive: «Il patriottismo, la fede nell’identità del popolo tedesco e nella forza del genio germanico, il sentimento dell’onore, il fatto di essere pronti al sacrificio di sé, la disciplina, la giustizia sociale, l’unità che va oltre la divisione in classi, fraterna e nazionale.
Questo spirito sta alla base di ciò che costituisce la sostanza di tutto questo movimento. Arde nel cuore di ogni nazista sincero, tende i suoi muscoli, risuona nelle sue parole e brilla nei suoi occhi.
Basta vedere questi volti pieni di fede, sì esattamente pieni di fede. Basta vedere questa disciplina per capire il senso di quel che accade e chiedersi: “Esiste in terra un popolo che rifiuterebbe di creare per sé un movimento di queste dimensioni e con questo spirito?”.
Per dirla in breve, questo spirito suggella la fratellanza tra il nazional-socialismo tedesco e il fascismo italiano. E non solo tra di loro, ma anche con lo spirito del movimento russo bianco» .

L’unità di tutti i popoli russofoni
C’è poi un altro pensatore russo, questa volta contemporaneo, Aleksandr Dugin, che per un certo periodo è stato molto vicino al presidente. La sua sponsorizzazione dall’alto trova riscontro nel fatto che i suoi libri sono stati ampiamente tradotti all’estero, sono almeno 13 le opere edite in Italia.
Ultranazionalista e visionario, Dugin coniuga l’eurasismo con il «tradizionalismo integrale» (di Guénon, Evola), animato da una religiosità pagana primordiale vagamente spruzzata di ortodossia; celebra l’unicità della civiltà russa e auspica di conseguenza un nuovo ordine mondiale che unifichi tutti i popoli russofoni in un unico grande paese.
Interessante anche il suo progetto di assoggettare l’Occidente marcio e debosciato usando i suoi vecchi valori ormai calpestati ma che tanti europei rimpiangono; qui si intuisce l’origine ideologica della politica di ingerenza negli ambienti tradizionalisti ed antieuropeisti dell’Europa che la Russia ha messo in atto almeno dal 2010, si vedano in questo senso le visite private di alcuni personaggi politici italiani in Russia dal 2011 fino a tempi recenti.

Per altro Dugin si era fatto promotore dell’annessione della Crimea già nel 2008 (ossia prima del Majdan a Kiev, che una certa vulgata utilizza come giustificazione della successiva annessione della Crimea stessa), e nel 2014 (anno dell’annessione effettiva) aveva definito inevitabile la guerra tra Russia e Ucraina.

La roccaforte della verità e del bene
Da ultimo, nell’ideologia putiniana è entrato un elemento che, coerente con i concetti elencati sopra, ha dato forma più precisa e organica alla sua visione d’insieme, si tratta del Russkij mir, l’idea del Mondo russo che, secondo alcuni testimoni, sarebbe stata suggerita al presidente dall’ambiente del Patriarcato ortodosso.
Questo mondo russofono – in realtà più mitico che reale, e però sicuramente più ampio dei confini degli Stati – avrebbe come elemento unificante, oltre alla lingua, anche una qualità morale e spirituale unica veicolata dalla fede ortodossa, solidamente ancorata alla tradizione e perciò privilegiata; pertanto la Russia costituirebbe la roccaforte della verità e del bene in questo mondo.
In particolare la Russia è dipinta come l’ultimo difensore dei valori cristiani e della famiglia tradizionale – poco importa se la sua legislazione permette il divorzio, l’aborto, l’utero in affitto – e questa presunzione le dà il diritto da una parte di condannare il mondo esterno secolarizzato, ma al tempo stesso di proporsi ad esso come rimedio alla crisi globale dei valori.
Tale è la posta in gioco in questa crisi, che all’occasione, poi, la Russia può anche cercare di «salvare» il resto del mondo manu militari, come ha asserito il patriarca Kirill stesso nelle omelie recenti.
Alla vigilia dell’invasione, il 23 febbraio 2022, il Patriarca, in effetti, aveva detto pubblicamente «noi sappiamo che anche in tempo di pace sorgono delle minacce. Disgraziatamente in questo momento esistono delle minacce… Per questo penso che i nostri militari non possono nutrire alcun dubbio di aver scelto la via giusta nella loro vita»; e anche più recentemente, nell’omelia del 6 marzo, Domenica del perdono, ha ribadito che ci troviamo di fronte a uno «scontro metafisico di due civiltà».

Tuttavia, ai vertici del Patriarcato di Mosca sembra sfuggire che il russocentrismo e l’afflato mistico che permeano gli emendamenti alla Costituzione del 2020 (e che poi vengono ripresi nel Decreto presidenziale sulla politica di sicurezza nazionale del 2021 e in quello sui Valori tradizionali a fondamento dello Stato del 2022) si pongono totalmente al di fuori della logica cristiana, mentre l’inserimento del nome di Dio in questi documenti è ormai pura decorazione.

In effetti non può che apparire come strumentale questo elemento messianico pseudo religioso che corona una costruzione ideologica dove ciò che costituisce il fondamento di tutto il discorso è invece l’elezione della Russia, lo «spazio vitale» della grande potenza, la difesa dei fratelli dispersi nel mondo, che ha anche tutta una serie di addentellati sociali e politici: lo Stato-Patria è tutto e il cittadino ha senso solo se è al suo servizio; la Russia per la sua natura speciale è al di sopra delle leggi e dei trattati internazionali; il mondo la odia e la invidia, e per questo è costretta a difendersi
Da questo punto di vista, la legislazione interna e la politica estera della Federazione russa negli ultimi vent’anni hanno proceduto in parallelo, mostrando lo stretto legame che le unisce nella visione del presidente.
I principi che abbiamo brevemente elencato si sono tradotti in azioni concrete, sino alle conseguenze che vediamo oggi: l’affossamento totale della democrazia all’interno, una successione di guerre piccole e grandi all’esterno.

Rivoluzione o involuzione culturale
Sulla scorta di questo complesso di «istanze» che possiamo ben definire imperiali, Vladimir Putin ha messo mano a una sorta di rivoluzione – o involuzione – culturale a partire dal suo secondo mandato presidenziale quando, nel 2004, ha affermato che «la più grande tragedia geopolitica del XX secolo è la dissoluzione dell’URSS». Questa affermazione era gravida sin da allora di incalcolabili conseguenze culturali e politiche che oggi vediamo realizzarsi dentro e fuori il paese.
Alla luce di questa affermazione centrale assumono la loro giusta collocazione tutti gli atti legislativi e politici intrapresi in questi anni, dagli emendamenti alla Costituzione alla legge sugli «agenti stranieri» (vera e propria categoria discriminatoria nella quale può essere fatto rientrare chiunque abbia un qualche rapporto con il mondo non russo), e si comprende anche l’accanimento con cui il presidente ha perseguito la distruzione della storia e dell’informazione.

Tra gli epifenomeni di questa linea ideologica troviamo infatti la radicale riscrittura della storia russa in chiave patriottica e messianica (oltre a una forte componente vittimistica); in questa prospettiva va letto l’affermarsi di un patriottismo che fagocita e riscrive tutto a suo uso e consumo, e non può tollerare accanto a sé istituzioni civili come Memorial (ormai chiusa definitivamente), che della storia reale conservava documenti e testimonianze.
Sempre in questa prospettiva sono stati messi sul piedistallo personaggi storici impresentabili ma «forti» come Stalin, Ivan il Terribile (vero tiranno e mandante dell’assassinio del metropolita di Mosca Filipp) e Alessandro III (il sovrano più antisemita e militarista che la Russia abbia avuto), cui viene attribuito valore eccezionale, intessuto di mito.
In questo ambito «storico» sui generis, si è visto già nel 2016 un gesto di implicita «minaccia» all’Ucraina quando il presidente ha voluto, proprio a ridosso del Cremlino di Mosca, un monumento al principe Vladimir di Kiev (il battezzatore dell’antica Rus’ nel X secolo), segno precoce ma abbastanza chiaro di un’appropriazione della storia, prodromo della teoria «storica» secondo cui l’Ucraina non esisterebbe come Stato ma sarebbe un’invenzione di Lenin (discorso di Putin del 21 febbraio 2022).

Sempre nel campo della rinnovata memoria storica si pone, da ultimo, la crescita esponenziale del mito della vittoria del ’45, la Grande guerra patriottica che ha liberato il mondo dal nazismo.
Anche qui si tratta di un’operazione culturale ad ampio raggio, con molteplici linee d’intervento, tutte finalizzate a creare il mito di una Russia invincibile e sana, pronta a «ripetere» le sue imprese, come si leggeva sui cartelli nelle manifestazioni trionfali del Giorno della vittoria, il 9 maggio.
E infatti l’impresa si sta ripetendo, la «denazificazione» dell’Ucraina è in corso e, come momento di possibile realizzazione, viene suggerita proprio questa data.