La guerra di Putin: conseguenze economiche
Il modello di sviluppo non è più solo uno slogan.

Educazione, ricerca, responsabilità sociale, sostenibilità: le nuove parole d’ordine per una politica capace di affrontare i costi del cambiamento. Per non arrendersi alle visioni da cassandre. E all’esercizio delle previsioni per nulla profittevoli. Più redditizio fare propria la virtù della speranza.


8 aprile 2022
di Gianfranco Fabi

Come diceva John Kenneth Galbraith, le previsioni economiche hanno un solo pregio, quello di rivalutare l’astrologia. Perché prevedere è facile, ma indovinare le previsioni giuste è molto più difficile dato che il futuro non è costruito solo sulla razionalità, ma molto di più sulle scelte arbitrarie, emotive e irragionevoli dei grandi della terra insieme a quelle di miliardi di persone che compongono il mercato globale.

Eppure prevedere non è solo uno dei compiti essenziali degli “esperti” di economia è anche una prassi che più o meno esplicitamente esercitiamo per le nostre scelte quotidiane.

Prevedere peraltro in questa particolare fase storica é ancora più difficile. Gli “imprevisti” sono infatti frequenti e di grande portata. Chi avrebbe immaginato nel 2019 che avremmo vissuto prima una devastante pandemia e poi una drammatica guerra nel cuore dell’Europa? E così oggi più che l’esercizio delle previsioni dobbiamo esercitare la virtù della speranza: da una parte che il virus possa depotenziasti fino a scomparire e dall’altra che la logica del compromesso e delle intese possa far tacere la voce dei missili e delle bombe.

Una cosa è certa: abbiamo e avremo ancora di più un conto da pagare. Non solo in termine strettamente economici, per gli aumenti dei costi dell’energia e delle materie prime, ma anche per la necessità di adattarsi ad una realtà necessariamente diversa dal passato.

In questi anni infatti altri importanti elementi, per fortuna non necessariamente negativi, stanno cambiando lo scenario sociale ed economico.

C’è in primo piano una rivoluzione tecnologica che è entrata prepotentemente nella nostra vita quotidiana cambiando il modo di lavorare (pensiamo allo smart working), le vie dell’informazione e dell’intrattenimento oltre che i rapporti funzionali con banche, assicurazioni, uffici pubblici. L’identità digitale è il nostro alter ego, anzi, per dirla cyberneticamente, il nostro avatar quotidiano.

L’insidia dell’inflazione

L’aggressione della Russia all’Ucraina ha poi dato una scossa al processo di globalizzazione, già messo a dura prova dalla battaglia contro la pandemia. E le sanzioni contro la Russia hanno bloccato i flussi finanziari e commerciali accentuando ancora di più quella spinta all’aumento dei prezzi che aveva già caratterizzato gli ultimi mesi dello scorso.

Per petrolio e gas, quasi completamente importati, i problemi non sono solo quelli dei costi: è a rischio, infatti, la stessa possibilità di garantire gli approvvigionamenti dato che nell’ultimo anno il 50% del gas e il 25% del petrolio sono stati acquistati dalla Russia e ci vorranno almeno tre anni di dura politica energetica per annullare questa dipendenza.

Al di là delle necessarie strategie per limitare i danni resta comunque un dato di fatto: famiglie e imprese spenderanno almeno il 70% in più per le bollette dell’elettricità e del gas e un 20/30% in più per benzina e gasolio nonostante il calmiere ai prezzi introdotto dal Governo per tutto il mese di aprile (poi si vedrà).

I prezzi dell’energia sono un costo che incide su tutte le filiere produttive e quindi provocano un effetto a catena sul livello dei prezzi. È ormai una certezza che in questo 2022 torneremo vicini a quel livello di inflazione che ha contrassegnato gli anni ’70: e si può ricordare che cinquant’anni fa la svolta era stata determinata dal forte aumento dei prezzi del petrolio dopo l’embargo deciso dai paesi dell’Opec.

Le previsioni (come detto, del tutto ipotetiche) parlano di un’inflazione quest’anno tra il 7 e il 10%, inflazione che potrebbe scendere negli anni successivi, salvo imprevisti, poco sopra il 2%. E parallelamente si stanno sempre più riducendo le prospettive di crescita soprattutto per le difficoltà sule strade dell’export, il grande punto di forza dell’economia italiana negli ultimi anni.

Indicare la malattia è relativamente facile, ma individuare le terapie possibili è quanto mai difficile. Anche perché i problemi non vengono mai soli. La guerra ha infatti bruscamente interrotto i pur limitati passi che erano stati compiuti sul fronte delle misure per contrastare i cambiamenti climatici. In Italia e Germania la riattivazione delle centrali a carbone per la produzione di energia elettrica porterà inevitabilmente ad un aumento delle emissioni di anidride carbonica ed altri inquinanti.

La politica demagogica dei bonus

La grande domanda è se riusciremo a sfruttare i vantaggi delle tecnologie e nello stesso tempo ad affrancarci almeno in parte dalla pericolosa dipendenza dall’estero sul fronte delle materie prime, dei prodotti agricoli e dell’energia. E nello stesso tempo se si riuscirà a porre sotto controllo quell’inflazione che danneggia soprattutto lavoratori e pensionati dato che negli ultimi anni sono state progressivamente aboliti gran parte de meccanismi di indicizzazione.

Le scelte della politica italiana negli ultimi anni non fanno ben sperare. Sul fronte energetico si sono infatti osteggiate le soluzioni che avrebbero potuto prevenire i problemi attuali: sono stati bloccati i rigassificatori, sono state sospese le estrazioni di gas, sono state ostacolate le ricerche di nuovi giacimenti di petrolio. E si sono introdotti provvedimenti, come il superbonus edilizio, che hanno costi altissimi (oltre 50 miliardi in tre anni) ed effetti limitati favorendo peraltro pochi ricchi proprietari di case. Governi a corto di idee e di progetti hanno risposto alla crisi con quella politica demagogica dei bonus che ha disperso, e nello stesso tempo moltiplicato, una spesa pubblica che nei momenti di crisi dovrebbe invece essere fondamentale per sostenere la crescita.

Investire su quattro parole chiave per non cedere al tranello della decrescita

E’ più che evidente che il nuovo scenario economico richiede un vero nuovo modello di sviluppo, vero nel senso che non può essere più uno slogan e nemmeno un’utopia. Non può essere il mito della decrescita e nemmeno la cultura anti-industriale, non possono essere scelte come l’ostracismo ai più moderni impianti di smaltimento rifiuti e neppure l’egualitarismo nella scuola che porta tutti al livello più basso.

Educazione, ricerca, responsabilità sociale, sostenibilità: le nuove parole d’ordine richiedono una cultura che solleciti innanzitutto la partecipazione, una cultura che parta dal basso e che non si fermi alla strumentale ricerca del consenso.

Educazione, perché bisogna ritrovare la dimensione della competenza dato che non ci sono soluzioni facili per problemi complessi.

Ricerca, perché la prospettiva dell’innovazione è fondamentale per aiutare la competitività delle imprese e rendere più moderna la Pubblica amministrazione.

Responsabilità sociale, per superare la logica dell’assistenzialismo e attuare una concreta politica di inclusione sociale.

Sostenibilità, non solo per la necessaria lotta ai cambiamenti climatici, ma nella più ampia dimensione di un’economia al servizio di tutti e di ciascuno.

In pratica non c’è bisogno di anti-politica o di post-verità. Ma di fiducia nella conoscenza, nel merito e quindi nelle capacità di ogni persona.