Quale Europa
La costruzione illuminata dell’europeista De Gasperi

L’attualità della lezione del grande statista, mai decisore solitario, al tempo della guerra nel cuore del Vecchio Continente. Vita, idealità, importanza dei corpi intermedi per costruire un’architettura su solide fondamenta. E così ridare un senso al modello di democrazia.

8 aprile 2022
di Enzo Manes

La recente scomparsa di Maria Romana De Gasperi (saggista, politica e staffetta partigiana) invita in questi giorni drammatici a tornare al pensiero e al progetto creativo sull’Europa di suo padre, lo statista cattolico Alcide De Gasperi. Per riaffermare il significato autentico dell’impegno in politica quale forma di servizio al bene comune. E come da quella amalgama di vita e idealità propria del politico illuminato, prossimo al rapporto con i bisogni e le domande delle persone e delle comunità, sia riuscito a tracciato un solco importante nella visione di un’Europa collaborativa, inclusiva, solidale, sussidiaria. In nuce già prima, ma dandogli forma e sostanza a partire dal secondo dopoguerra.

La costruzione dell’Europa nei dopoguerra

Ecco il punto di contatto più evidente con la realtà che stiamo vivendo. L’Europa, nel fianco ad Est, è dentro a una guerra che certifica lo sfarinamento di pilastri probabilmente meno solidi di quel che si poteva ritenere. Molto si è dato per acquisito o non si voluto andare fondo o non si è stati capaci di intervenire su una crisi della democrazia che negli anni ha ferito e indebolito l’Unione europea. Interrogarsi ora su quali fondamenta ricostruire l’Ue dopo questa guerra che speriamo si concluda il più velocemente possibile dovrebbe essere centrale nelle ambiziose agende della politica. De Gasperi aggiornò e sviluppò la sua di agenda con sguardo rivolto in avanti e sapiente realismo.

Ben sapendo quanto fossero fondamentali i partiti e le molteplici forme di associazionismo presenti nella società. L’oggi trova soprattutto nei partiti ma anche in altre realtà dei cosiddetti corpi intermedi un deficit importante. Tuttavia, come attesta lo stato delle cose, è assai complesso per non dire impossibile, che le democrazie (in questo caso facciamo riferimento solo a quelle occidentali) possano recuperare in credibilità e reputazione senza il ritorno innovativo del sistema della rappresentanza. È lecito chiedersi se l’affermazione della cultura e della pratica della disintermediazione politica e la crescita della democrazia immediata a tinte plebiscitarie e dunque illiberale sia un fenomeno inarrestabile. De Gasperi aveva ben in mente l’insidia dello strappo tra persone e forme di rappresentanza come tra cittadini e istituzioni. E lo aveva così presente che, a macerie ancora fumanti e all’evidenza di lutti che avevano lacerato famiglie, alzava il tiro: un’Unione dell’Europa doveva essere centrale per ricucire le ferite e ripartire nell’opera di costruzione. La guerra non poteva essere la pietra tombale sulle speranze di rinascita. Nel segno e nel senso della centralità della persona e del suo desiderio di felicità e benessere.

Il senso unitario del consorzio umano

Non era che appena avviato il 1950 quando De Gasperi, ragionando di Europa in contesti sensibili, poneva alla riflessione ciò che maggiormente stava a lui a cuore. Ricorse a queste parole: «Una cosa sola è essenziale. Questa sola esige tutti i sacrifici, questa sola esige i compromessi, esige compromessi personali, familiari, nazionali. Questa cosa è il senso unitario del consorzio umano, questo senso di fratellanza univer­sale, al di sopra delle nazioni e della politica, che è l’eredità e il patrimonio del cristianesimo»¹. Chiarezza di pensiero e nessuna censura della propria appartenenza ideale. Questo gli permise un dialogo fecondo con personalità di altri orizzonti culturali.  Lui, come altre figure della politica di statura internazionale, era cosciente di agire molto spesso tra strettoie e venti contrari della storia; ma ciò ne rafforzava la convinzione che le strettoie si potessero allargare e i venti contrari della storia affrontare coinvolgendo negli impegni propositivi le comunità.

De Gasperi, certo non dimenticando la lezione di Stati Europei che avevano guerreggiato gli uni contri gli altri e per ben due volte nella prima metà del Novecento, conservava una fiducia profonda verso l’uomo quale soggetto in grado di esprimere tensione ideale e feconda capacità di risveglio. De Gasperi ci sperava per davvero. Ecco un passaggio: che lo conferma «Non abbia­mo il diritto di disperare dell’uomo, né dell’uomo individuale, né dell’uomo collettivo; non abbiamo il diritto di disperare della storia, poiché Dio è al lavoro non solamente nelle coscienze indi­viduali, ma anche nella vita dei popoli».²

L’Europa che era nei pensieri del politico trentino, alla luce delle due aspirazioni appena riferite, rappresentava un appuntamento con la storia che non si poteva assolutamente mancare. Per esplicitare e dare lustro a un percorso culturale maggiormente comprensibile, De Gasperi non temeva di agganciarsi al concetto di mito. Avendo a cuore particolarmente le nuove generazioni (come dargli torto), lo declinava in termini efficaci e comprensibili: «Se volete che un mito ci sia ditemi un po’ quale mito dobbiamo dare alla nostra gioventù per quanto riguarda i rapporti tra Stato e Stato, l’avvenire della nostra Europa, l’avvenire del mondo, la sicurezza, la pace, se non questo sforzo verso l’Unione? Volete il mito della dittatura, il mito della forza, il mito della propria ban­diera, sia pure accompagnato dall’eroismo? Ma noi allora creere­mo di nuovo quel conflitto che porta fatalmente alla guerra. Io vi dico che questo mito è mito di pace, questa è la pace».³

Per un libero e progressivo sviluppo

 I suoi pensieri tengono in carreggiata e suggeriscono di rintracciare elementi di legittimità per la costruzione di un’effettiva Unione europea. Tanto più che provengono da un uomo, da un politico, da uno statista che non si è mai concepito come decisore solitario (caratteristica piuttosto comune in diversi leader di quella stagione). Il suo contributo alla discussione odierna sull’Europa – ribadiamo in un quadro complessivo di profonda incertezza e anche di paura – è di respiro laico, sostanzialmente collaborativo, espresso con risolutezza nel perimetro mai abbandonato della democrazia liberale. Opportuno, allora, nell’economia di questo piccolo contributo che non ha la pretesa di essere esaustivo nel documentare e argomentare sul De Gasperi europeista, farci prendere per mano da alcuni passaggi di un suo fondamentale discorso pronunciato il 21 aprile 1954 alla Conferenza Parlamentare Europea. Si tratta di un intervento di ampio respiro che, pur mantenendo alta la fiducia verso la costruzione dell’edificio Ue, non nasconde preoccupazioni, non censura criticità.

Ad esempio in materia di allargamento del mercato comune dice che per l’unità europea «è un argomento che offre la sua importanza, ma la libera concorrenza che ne sarebbe la conseguenza presenta anch’essa degli aspetti negativi che pos­sono esser ridotti soltanto dalla forza di un sentimento o di un’idea capace di stimolare la coscienza e la volontà. Questo sentimento, quest’idea, appartengono al patrimonio culturale e spirituale della civiltà comune».4

E in riferimento ai propri riferimenti culturali che sostengono la sua visione di politico fortemente provocato dall’impegno che si “sporca” con la quotidianità delle decisioni da assumere spiega: «Se con Toynbee io affermo che all’origine di questa civiltà europea si trova il cristianesimo, non intendo con ciò introdurre alcun criterio confessionale esclusivo nell’apprezzamento della nostra storia. Soltanto voglio parlare del retaggio europeo comune, di quella morale unitaria che esalta la figura e la responsabilità della persona umana col suo fermento di fraternità evangelica, col suo colto del diritto ereditato degli antichi, col suo culto della bellezza affinatesi attraverso i secoli, con la sua volontà di verità e di giustizia acuita da un’esperienza millenaria».5

Queste parole quasi fungono da premesse al successivo affondo, quello che chiarisce il significato del fare politica. Ovvero, un certo modo di viverla, di scandirla, di continuamente alimentarla che rappresenta un’opzione discriminante per fornire un architrave virtuosa a un’Europa dinamica, incisiva, solidale, sicura, capace di valorizzare quel che dal basso, dalla società civile operosa, emerge. Questo nel 1954. Adesso quell’aspirazione saggia perché concreta assume il valore di una ossigenante provocazione.

Ma ecco lo svolgersi ulteriore del pensiero di De Gasperi: «È’ vero che queste forze spirituali rimarrebbero inerti negli archivi e nei musei se l’idea cessasse di incarnarsi nella realtà viva di una libera democrazia che, ricorrendo alla ragione e all’esperienza, si dedichi alla ricerca della giustizia sociale; è vero anche che la macchina democratica e l’organizzazione spirituale e culturale girerebbero a vuoto se la struttura politica non aprisse le sue porte ai rappresentanti degli interessi generali e in primo luogo a quelli del lavoro. Dunque, nessuna delle tendenze che prevalgono nell’una o l’altra zona della nostra civiltà può pretendere di trasformarsi da sola in idea dominante ed unica dell’architettura e della vitalità della nuova Europa, ma queste tre tendenze opposte debbono insieme contribuire a creare questa idea e ad alimentare il libero e progressivo sviluppo».


De Gasperi: laico cioè cristiano.

1 Discorso pronunciato a Sorrento: Convegno delle Nuovelles Equipes Internationales il 14 aprile 1950, edito in A. De Gasperi, Scritti e discorsi politici

2 Discorso a Bruxelles nell’ambito delle Grandes conférences catholiques il 20 novembre 1948, in A. De Gasperi, Scritti e discorsi politici, vol. IV, tomo 2, Il Mulino, Bologna 2009

3 Intervento al Senato della Repubblica, 15 novembre 1950, in A. De Gasperi, Scritti e discorsi politici, Il Mulino, Bologna 2009

4 Discorso pronunciato alla Conferenza Parlamentare Europea il 21 aprile 1954. Alcide De Gasperi e la politica internazionale, Cinque Lune, Roma 1990

5 ibidem

6 ibidem