La convivenza è un dialogo vero.
Il fallimento della tolleranza. Europa e dintorni.

Autoritarismi. Valorialismi. Fondamentalismi di ogni genere e tipo. Derive prodotte -anche a loro insaputa- dal metodo della tolleranza intollerante. Perché la via d’uscita da un equivoco distruttivo è nella relazione vera e attiva. Dove la verità è il cuore del riconoscimento dell’altro.


8 aprile 2022

Ti tollero finché mi va. Poi, quando mi stufo, passo all’intolleranza. Metto una bella x sopra alla farlocca rappresentazione e discorso chiuso. E così, una buona volta, finisce l’ipocrisia. Questo, a ben vedere, pare proprio essere il tempo del crollo della tolleranza. Del salto della quaglia. Chi ci ha costruito sopra potere e gloria adesso ha preso la scorciatoia: cancel culture, metaverso, eccetera. Insomma, pulizia etica e non se ne parli più. L’intolleranza quale versione finalmente sincera della tolleranza. Anche se si continua a parlare di tolleranza. Ovvio, no? Il malinteso è un’efficacissima arma di convincimento di massa. Il malinteso ideologicamente fondato è la tolleranza che di sottecchi lascia il centro della scena all’intolleranza. Che fa il suo mestiere per conto della tolleranza. Un gran mal di testa. Un gran male. Punto.

La tolleranza intollerante così come quella tollerante non hanno mai prodotto nulla di buono. Una fabbrica della finzione, ecco. Che ha solo costruito prodotti difettosi.

Modelli di convivenza artefatti dove il popolo è comparsa o applaudente suddito. La storia è nota. In Occidente, nel mondo delle democrazie liberali, abili architetti hanno disegnato sistemi che si reggono sull’incontro vizioso tra tolleranza e intolleranza. Ma tolleranza e intolleranza, gratta gratta, sono alla fine (anche in principio, ad onor del vero) la stessa identica cosa. Fumo negli occhi. Polvere di stelle. Nel cul del sac di questo pensiero sghembo e pericoloso finisce inesorabilmente il dialogo.

Domanda: ma non è che in quel disegno dialogo e tolleranza vanno intesi come la stessa cosa? Sono la stessa figura? Vige un dialogo fra tolleranti. E un dialogo fra intolleranti. Quindi un dialogo che è un non-dialogo. Un non dialogo che si ammanta di dialogo per rassicurare circa il valore della tolleranza che non cede all’intolleranza.

Così la frittata è completa. Quanto indigesta. La confusione sotto il cielo è drammatica. In ballo c’è un tema antropologico – politico – culturale di portata decisiva. Relegare la questione a congettura o ad esercizio astratto verrebbe a confermare la vittoria del progetto tollerante sulle nostre vite. In nome di un dialogo a senso unico.

Il padre domenicano Adrien Candiard da anni batte il chiodo su questo cortocircuito (anche al Centro Culturale di Milano in un incontro andato in scena il 28/03/2022: Globalizzazione e conflitto come la convivenza costruisce la pace?). Il suo ultimo libro, da pochi giorni in libreria, è già una missione fin dal titolo: Tolleranza? Meglio il dialogo (Libreria Editrice Vaticana).

L’autore smaschera il caposaldo della tolleranza: la liquidazione della verità. E quindi Dio espulso dal dibattito pubblico. Relegato a questione privata. L’Europa costruita sulla tolleranza e dunque sull’assenza del dialogo nella verità ha determinato l’affermazione di fondamentalismi di vario genere e tipo, autoritarismi, nazionalismi, irrazionalismi. Insomma: totalitarismi. Tradendo la natura salubre del concetto di identità per coltivare la deriva ideologica dell’identitarismo. Vedi la Russia di Putin.

La partita del dialogo fra diversi nella ricerca della verità è centrale.

Oseremmo dire: salvifica. Come indicano, a diversa intensità, Benedetto XVI e Francesco. E come Luigi Giussani evidenziava in Il cammino al vero è un esperienza (Rizzoli, 2006): «Nel ridurre la convivenza a puro fatto di ordine esteriore o di maniera l’altro tende a coincidere con una fondamentale indifferenza per lui. Affermare l’altro nei suoi valori e nella sua libertà: si potrebbe chiamare “dialogo”. Il cristiano è particolarmente disposto e sensibile a questo valore, per cui ideale di ogni azione è la comunione con l’altro e l’affermazione della sua realtà “perché è».

L’Europa potrà nuovamente ritrovarsi solo muovendosi alla ricerca in maniera cosciente della sua anima. Un percorso dialogante nel riconoscimento del valore dell’altro. Un dialogo autentico che non censura nulla. Anche conflittuale. Finanche litigioso, disarmato. Ma sorretto da una stima di fondo. Non un esercizio tollerante e quindi intollerante per cui l’altro da sé non è mai interessante, un problema da risolvere, prima o poi, con la pratica del dominio.

Il professor Axel Honneth, direttore dell’Istituto per la ricerca sociale di Francoforte (quello che fu di Theodor W. Adorno e Max Horkheimer, conosciuta come la Scuola di Francoforte), cimentandosi con questi temi nel libro Riconoscimento Storia di un’idea europea (Feltrinelli, 2019) scrive: «Il rapporto intersoggettivo è determinato dal reciproco riconoscimento – cioè dalla reciproca attribuzione di valore – da parte dei soggetti in gioco».

Un’Europa fondata sul riconoscimento ha nel metodo del dialogo autentico la possibilità di una convivenza che costruisce. Convivenza che sa di vita. Risposta umana ai totalitarismi della tolleranza che si specchiano nell’intolleranza.