Tecnoutopie
Tra il nulla e l’eternità: il metaverso

La promessa di Zuckerberg è quella di costruire uno spazio collettivo dove far convergere dimensione fisica e digitale. È il trionfo possibile della volontà di potenza virtuale. Una temporalità paradossale. Una piattaforma che dice: tutto è presente. Ma così sognando si annulla il presente. E la realtà svanisce. Ecco l’insidia poco umana della nuova frontiera tecnologica. Tutto così perfetto da essere a rischio di beneaguranti contrattempi.


25 marzo 2022
di Marco Dotti

Il 28 ottobre 2021, nel corso dell’annuale conferenza del gruppo, Mark Zuckerberg dà la notizia: Facebook diventa Meta. Poiché il rebrand è tanto, ma non è tutto, il tutto, nella logica di Zuckerberg, sembra si spieghi con la necessità di assicurare un vantaggio strategico nella costruzione di quella fantomatica realtà alternativa che, da sempre, è il fondamento di ogni utopia. Nelle tecnoutopie questo sogno ha preso il nome e, ora, sta prendendo anche la forma del metaverso.

Nonostante numeri in calo, Facebook è ancora la piattaforma social più popolare al mondo, con i suoi 1,929 miliardi di utenti attivi nell’ultimo trimestre del 2021. Attraverso i suoi Reality Labs, divisioni che si occupano di realtà aumentata all’interno di Facebook, il colosso dei social ha già investito sul progetto del Metaverso cifre imprecisate, registrando perdite per oltre 10 e profitti per 2,2 miliardi di dollari
(Fonte: TheVerge.com).

Il puzzle metaverso

Per ora, come suggerisce Andrea Daniele Signorelli su Guerre di Rete, il metaverso va considerato un puzzle. Un puzzle composto da molti tasselli. I tasselli sono tecnologie, aziende e modelli di business che, presi in sé, appaiono molto diversi tra loro: si va dalle tecnologie di realtà aumentata, alle criptovalute, dai Non-fungible Token (NFT) a tutto quel sistema che intreccia transazioni finanziare, gaming e lavoro attraverso piattaforme evolute
(Fonte: guerredirete.it)

Che cosa accade nel metaverso? Per ora nulla. Ma presto, spiega il CEO di Facebook (ora Meta), «sarai in grado di teletrasportarti istantaneamente come un ologramma per essere in ufficio senza fare il pendolare, a un concerto con gli amici, o nel salotto dei tuoi genitori per aggiornarti. Questo aprirà più opportunità, non importa dove vivi. Sarai in grado di trascorrere più tempo su ciò che ti interessa, ridurre il tempo perso nel traffico e ridurre la vostra impronta di carbonio».

La promessa del metaverso è dunque chiara: costruire uno spazio collettivo in cui far convergere dimensione fisica e digitale, entrambe potenziate virtualmente. Rendendo obsoleta la realtà. Entro il 2026, secondo una proiezione di Gartner, il 25% delle persone passerà almeno un’ora al giorno nel metaverso.
(Fonte: Gartner.com).

Secondo un’altra società di ricerca, Strategy Analytics, il mercato globale del metaverso dovrebbe raggiungere 42 miliardi di dollari entro il 2026.
(Fonte: cointelegraph.com).

Già oggi, però, il valore delle transazioni che si generano in questo meta-spazio è pari a circa 6,1 miliardi di dollari.

Dove va il metaverso

Del metaverso, ibrido tra realtà virtuale e realtà aumentata (VR/AR), Zuckerbebrg delinea alcuni elementi chiave. Atteniamoci a due di questi elementi: ubiquità e presenza.

L’ubiquità non sembra essere nel metaverso una qualità accidentale di un soggetto potenziato (enhanced) da apparati tecnologici, ma la matrice stessa di una soggettività nuova. Una soggettività che non può che presentarsi come multipla e molteplice. L’ubiquità va così intesa non solo come possibilità di un singolo soggetto di “stare” in più luoghi nello spazio del metaverso, ma come capacità di collocarsi in diversi regimi temporali.

L’ubiquità coincide con uno specifico cronotopo del metaverso. Detto in altri termini: è la sua determinante spazio-temporale. Nel metaverso saremo al lavoro senza essere davvero al lavoro, potremo giocare e leggere senza mai giocare o leggere davvero, partecipare a riunioni e guardare una serie tv, passeggiare nella Piazza Rossa o tra le bombe di Kiev. Tutto nello stesso tempo. O, meglio, fluttuando su un presente totale frammentato in tanti presenti. La sincronicità di passato (es: essere nella Roma ai tempi di Augusto), presente e futuri possibili (es: scegliere lo scenario e viverlo qui e ora) instaura un tempo nuovo epurato dalla più insidiosa tra le caratteristiche del tempo: la dimensione cronologica.

Questa sincronizzazione assoluta ha un prezzo: la presenza e, in fin dei conti, il presente stesso. Nella temporalità paradossale del metaverso tutto è presente, fuorché il presente: è il prezzo da pagare per rendere obsoleta la realtà, creandone una nuova e rinnovata.

Se l’obiettivo è rendere il metaverso una meta-realtà inglobante, che ingloba altri piani di realtà e non solo una delle tante realtà parallele esistenti, la domanda chiave è: quale presenza o assenza è richiesta, “24/24” e “full time”, per raggiungere questa ubiquità?

Surrogati di presenza: «il sogno ultimo della tecnologia sociale»

«La qualità che definisce il metaverso», scrive il fondatore di Facebook (ora Meta), non sarà una presenza, ma una «sensazione di presenzacome se tu fossi proprio lì con un’altra persona o in un altro luogo. Sentirsi veramente presenti con un’altra persona è il sogno ultimo della tecnologia sociale. Questo è il motivo per cui siamo concentrati sulla costruzione del metaverso».

Soffermiamoci su questa espressione: “sensazione di presenza”, feeling of presence. Espressione che richiama esplicitamente la dimensione spaziale (il qui) e quella temporale prevalente (l’adesso) del metaverso, ma convoca immediatamente anche il piano di un oltre metafisico e la grande, irrisolta questione del soggetto. Sensazione di presenza non significa necessariamente presenza. La presenza è data dalle cose, da cose e persone che toccano cose e persone. Corpi.  Il “come se” del metaverso è ancora presenza? O è, come esplicitamente dichiara Zuckerberg, sentimento e fantasma di una presenza?

Il “come se” (come se fossimo presenti) non è una mera possibilità, ma qualcosa di più: è la struttura stessa richiesta al soggetto che si muove nel metaverso, la sua precondizione di esistenza.  Un soggetto che deve trascendersi digitalmente per esistere. Il solo rischio paventato da questa visione è non esistere: l’esclusione dal metaverso. Il capitalismo della sorveglianza, così ben descritto da Zuboff in un suo libro giustamente noto, è diventato un capitalismo della post-soggettività? Un indizio: «Beyond – traduzione inglese dal greco μετά – è la parola che maggiormente ricorre nella Founder’s letter che introduce il Metaverso. Il progetto di Zuckerberg è, letteralmente, metafisico» (Giuseppe De Ruvo, “Il virus del metaverso, se l’America fugge dall’inferno della storia”, Limes, n. 1, 2022).

Il soggetto del metaverso si muove ed è lui, in questo suo movimento continuamente de -situato, a rendere obsoleta la realtà «là fuori». Questo soggetto abita il tempo, in una sorta di presente esteso e allargato, broad present o ampio presente come lo ha definito il teorico Hans Ulrich Gumbrecht, che annulla il tempo storico e, con esso, ogni potenzialità di presenza come l’avevamo fin qui intesa.

Se la modernità è stata a lungo caratterizzata da un’idea di tempo storico e di presente inteso come margine e residuo, schiacciata tra passato e futuro (per il più moderno tra i poeti, Baudelaire, il presente era un «breve, impercettibile momento di transizione» tra passato e futuro) il tempo del metaverso sembra aver cambiato… verso. Mentre il breve presente del moderno era un habitat tutto sommato confortevole per un soggetto ancora chiamato a scegliere su base esperienziale (passato) tra diverse possibilità di futuro (progetto), va detto che per noi, soggetti che non vivono più nel tempo storico il presente «si è trasformato in una simultaneità in espansione» (H. U. Gumbrecht, Il nostro ampio presente, a cura di A. Comparini, Bompiani, Milano 2019, p. 35), dando vita a un nuovo rapporto con le cose, la res extensa cartesiana, che ha svuotato lo spazio di ogni significato e, oggi, tramite il metaverso si appresta a svuotare anche il senso del tempo riempendolo di pura res cogitans (digitale). A incarnarsi è l’internet, ma a disincarnarsi siamo noi, umani. Per secoli l’umanità si è rapportata a ciò che si lasciava alle spalle, gli “spazi esistenziali”, per meglio rapportarsi ai tempi che gli si presentavano davanti, i “futuri possibili”. Il presente è stato sempre il campo di conflitto e ricomposizione di tutto questo. Nel metaverso è il presente a dilatarsi e a espandersi, inglobando così il passato e assorbendo dentro le proprie logiche immanenti ogni possibile futuro. Se le premesse sono queste, c’è solo da sperare che la tecnologia ci riservi uno di quei suoi magnifici, imprevisti, contrattempi. Rendendo presto obsoleta anche questa distopia.