Editoriale
La violenza della guerra e l’invasione dell’irragionevolezza

Il danno antropologico del tutto relativo impedisce di riconoscere e riconoscersi. Un blackout della ragione che produce insensatezza. E punti di vista che mai vanno al punto. La ragione sotto attacco del tutto è relativo. E l’uomo al buio che la cerca.


25 marzo 2022

Il problema vero è che abbiamo le nostre riserve. Ci riserviamo il diritto di. Prendiamo sempre le misure. Qualsiasi cosa accada ci sentiamo compatibili nel simulare. O nel prendere posizione per accartocciarci in rassicuranti o aggressivi punti di vista. Il tutto relativo certifica il vale tutto. Quindi niente che valga la pena di per sé.

Ed è così che andiamo sotto. Che il mondo rotola. Poi ci stupiamo ancora quando neppure davanti a vicende enormi si riesce a porre fine all’infausta recita.

Allora non è certo che è la Russia l’aggressore e l’Ucraina l’aggredita.

Non è certo che siamo di fronte a un’invasione bella e buona.

Ma Putin cosa doveva fare? lasciare campo libero alle mire della Nato per interposta nazione? Quel che è sicuro è che ci sta dietro sempre qualcosa che insospettisce e di lì le nostre riserve.

Per intanto si prendono le misure, poi si vedrà. L’oggettività, il dato di verità, le evidenze sono scansate dall’individuo. Non sono più all’ordine del giorno. Espulse dalla storia perché indisponibili a lasciarsi prendere le misure. Per il soggetto colpevolmente succube e insieme attratto dall’individualismo senza se e senza ma in questa stagione inaudita, il repertorio prevede altro e quindi non le prevede.

Riconoscere è divenuto un verbo demodé. Perché conoscere è un’eccentrica fatica ormai fuori tempo massimo.

 Suggerirebbe la ragione: ma non sarebbe il caso di finirla con questa sarabanda?

Non potrebbe essere giunto il momento di tornare a pensare con ragionevole certezza che non vale la pena fratturarsi e frantumarsi? Abbiamo costruito la debacle con pervicacia.

L’Europa sembra oggi una storia sbagliata. La democrazia arranca. L’illiberalismo affascina. Ad Ovest colpi bassi e plastica rassegnazione.

Ad Est lacrime e sangue nel quotidiano muro contro muro.

L’identità viene spacciata come ideologia identitaria. La fede non è più un tema. La tradizione uno straccio sporco non più lavabile. La memoria una pila esausta. Siamo nel pieno di un black out. Fissiamo lo schermo. Nero. Come nell’ultimo libro di Don De Lillo quando il mondo tutto tecnologia si spegne all’improvviso.

E in quel silenzio non c’è alcuno che riesca a pronunciare domande sensate se non fastidio perché alla tv non si può più vedere il super bowl. Un’impossibilità antropologica. Neanche più il ricordo di come si faccia a porsele. Perché da tempo l’uomo non si conosce e non conosce. Non si riconosce e non riconosce.

Però la realtà cacciata dalla porta rientra dalla finestra. Sempre.

Come a dire che è sempre propizia la possibilità di far risuonare le domande davanti a qualcosa e con qualcuno. Di riconoscersi condividendole. Di pensarle.

La novità è un allenamento ragionevole, insomma. Umanamente compatibile con l’oggettività che non è gabbia. Che non è cappio.

Un camminare per nulla relativo. Allora sì che conviene esercitarsi con la prova del nove. Allora sì che si conosce finalmente chi è l’aggressore e chi l’aggredito. Cambiati un po’ anche noi che forse iniziamo a riconoscerci anche al buio. Con un poco di carità dentro al black out che non ci spegne.