Altri passaggi
Il (naturale?) fine corsa dell’autostop

A proposito di un tramontato modo di viaggiare e incontrarsi dopo aver letto Sempre tornare, l’ultimo romanzo di Daniele Mencarelli

19 febbraio 2022
di Enzo Manes

La zona grigia non fa al caso di Daniele Mencarelli, scrittore. In ciò che scrive esprime il significato dell’opposizione fra il qualcosa e il niente. La sua scelta è dalle parti del qualcosa. Ma non perché così gli ritorni tutto. Ma neppure in quanto accetti (da prova provata) che il nulla definisca la zona non grigia. A lui preme incontrarsi e dunque scontrarsi con il qualcosa. Perché il qualcosa è proprio quel qualcosa, qualcosa che c’è. Che c’entra, gli appartiene. Anche quando, sulle prime, possa sembrare un accidente svogliato.

Il suo ultimo romanzo è il percorso di una storia di multipli, una carrellata di imprevisti creativi che danno da pensare. Cose che succedono. Tanti qualcosa generativi di. “Il niente non mi affascina”, ha detto per chiarire nella serata all’auditorium del Centro Culturale di Milano per la presentazione di Sempre tornare, terzo appuntamento biografico a chiudere la necessaria trilogia dopo La casa degli sguardi e Tutto chiede salvezza. Diversi l’avranno già letto, altri conviene che ci provino. Tuttavia qui non si intende entrare nei pensieri, nelle circostanze, nella storia del suo viaggio di ritorno a casa e delle ragioni che gli sono arrivate alle labbra: «Io sono qui perché devo capire. Non posso più far finta di niente».  Diciassettenne alla prima prova di superamento della fase comunemente detta adolescenziale, tempo di controversie e imperizie, per raggiungere in quattordici giorni il luogo della propria radice. Un on the road nostrano dalla Romagna vacanziera di Misano (abbandonati ex abrupto gli amici dopo la notte infausta al famoso Cocoricò, dodici ore che dovevano essere ben altro, sfrenatamente ben altro) alla terra laziale vicino a Roma ma che non è Roma. Un mettersi in cammino tra solitudini (volute e inevitabili) e improvvisi squarci. Si compie così, con la scelta del ritorno “in solo”, la sua prima vacanza senza famiglia.

L’assenza di domanda e offerta

Non vuole essere una recensione del libro, questa. La sosta – visto che il libro ha un suo procedere tra chilometri e fermate provvisorie – che ci concediamo è per destinare qualche riga ad un grande protagonista del romanzo. Non una persona. Ma un metodo di movimento e movimentato, assai in voga anni addietro per viaggiare, soprattutto frequentato dai giovani: l’autostop. Il protagonista, Daniele, nel suo itinerario da compiere nella circolarità dettata dal tempo, ricorre a quella forma di trasferimento per brevi o meno brevi distanze. Ogni giorno così. Perché i fatti del suo giorno hanno quasi come premessa e promessa la conquista di un passaggio. «L’autostop è una disciplina ferrea. Come uno sport, o una professione. Ha regole precise, almeno se si vuole vincere, ovvero viaggiare», è la voce convinta del diciassettenne. 

Che accetta la sfida di macinare asfalto corteggiando l’esperienza del gratuito. Funziona. Il succedersi delle pagine lo attesta. L’amico quando capisce che Daniele lascia il gruppo per seguire la sua via, poi non tanto definita alla partenza, si raccomanda: «Sta’ in campana, nun te fidà de nessuno». Invece si fiderà altrimenti ciao ciao autostop.

Ora, quell’ esperienza di viaggio non è più tra noi. L’autostop è tramontato quasi senza che ce ne rendessimo conto. Ha chiuso la sua storia per sopraggiunta assenza di domanda e di offerta. Per paura? Per indifferenza all’altro? Per altri freni? Da un certo momento in poi nessuno più agli ingressi autostradali con cartelli in bella vista a indicare la città da raggiungere. Da un certo momento in poi nessuna vettura o camion a fermarsi per far salire l’autostoppista o gli autostoppisti. Come nessun autostoppista. Un “the end” avvenuto dentro un tempo a motivo che era giunto il suo tempo.

Interrogarsi sulle ragioni della fine dell’autostop forse non è un esercizio banale. Soprattutto dopo aver letto il romanzo di Mencarelli dove l’autostop è momento centrale e non accessorio della storia, delle storie. Può essere che internet metta in circolo i messaggi e incroci domanda e offerta. Ma in genere si tratta di viaggiare insieme condividendo le spese. Come altre formule anche reclamizzate. L’autostop è tutta un’altra faccenda. Chi si fermava per offrire un passaggio non aveva la ben che minima pretesa di ricavare un contributo in moneta. E, d’altro canto, chi lo chiedeva comunicava già in partenza l’esigenza di consumare un tratto di strada “a gratis”.  Funzionava a quel modo. E in molti casi, ma non per caso, quei viaggi testimoniavano la fecondità del qualcosa. Nascevano per il tempo che richiedeva il percorso stabilito (anche la sola porzione di strada, appunto il tratto da qui a lì, veniva molto apprezzato) situazioni che definivano l’originalità della relazione come approccio elementare alla conoscenza. Ci si fidava l’uno dell’altro. Spesso con lo sconosciuto si entrava nel merito, ci si apriva senza averlo messo minimamente nel conto. E chissà se quel che avveniva in circostanze fuori spartito, magari una conversazione avviata dalla comune passione per la musica dell’artista che l’autoradio sparava a volume importante, apriva a possibili e inaspettate situazioni. Così succede nel libro, essendo il racconto di un viaggio, del viaggio di Mencarelli in gioventù. 

L’on the road quotidiano

Non si tratta di mitizzare l’autostop, molta letteratura lo ha fatto e per lo più quella proveniente dagli Stati Uniti: piuttosto, come dice anche Mencarelli, l’autostop poteva rappresentare un’occasione per testare la propria e l’altrui umanità, senza forzature, ma per vedere l’effetto che fa. L’autostop è stato un fatto di costume, ma non solo. Una vicenda culturale, ma non solo. Anche una moda, perché no. Però è stato qualcosa di molto concreto. Un atto gratuito. Aggregativo. Il diciassettenne di Sempre tornare ne fa esperienza. E si sorprende di quel che nasce dal passaggio del giorno. E il passaggio da sconosciuto a conosciuto, secondo un corso delle cose che non può essere scritto prima, è un affaccio che muove. Che sposta gli orizzonti personali nel chilometraggio di quel viaggio di vita. Di ritorno perché di andata. Di andata perché di andata: è sempre una questione di strappi specie quando si fa la scoperta di essere giovane adulto abbandonata la parentesi poco edificante dell’adolescenza.

Il punto non è: torniamo a fare l’autostop perché questo e perché quello. Il punto è favorire e quindi rintracciare in questo presente occasioni relazionali, incontri che rendano soddisfacente l’incrocio umano fra domanda e offerta. Che poi sono due domande, che poi sono due offerte. Perché nella vita ordinaria, nel nostro particolare on the road, capiamo più noi stessi quando ci lasciamo scoprire dallo sguardo degli altri. Conoscersi è sempre un “mi dai un passaggio?”. Conoscersi è sempre un viaggio che ci porta altrove.  A titolo gratuito.