Pellegrinaggio letterario
Quel che mi resta dopo una tesi di laurea su Tondelli

Un giovane universitario della Statale di Milano scrive per noi dopo aver letto l’articolo che abbiamo dedicato all’autore emiliano. Un racconto appassionato. Un’esperienza di chi è stato sedotto dalla sua scrittura

19 febbraio 2022
di Luca Drudi

Esiste un cimitero che, per qualche bizzarro motivo, pare del tutto ignorato dalla copertura satellitare di Google Maps. Se vi avventurate nelle campagne che circondano Reggio Emilia, perdendovi nel dedalo delle stradine secondarie, allora, forse, potreste trovare il camposanto e il suo paesino. Il nome è Canolo e, senza offesa per tutti i canolesi (o canolini), è una di quelle borgate così minuscole che “spesso l’attraversi in macchina e non ti accorgi neanche di averlo superato”. Parole di una signora del posto, non mie. Anche io, guardando i muri giallo stinti del cimitero, ero stranito di trovarmi là. Ma, se stiamo parlando qui di un luogo del genere, ci deve pur essere un motivo. E la ragione è che lì, da poco più di trent’anni, è sepolto Pier Vittorio Tondelli, uno degli scrittori più particolari, e più dimenticati, dell’Italia del secondo Novecento. Scrittore di cui forse, invece, varrebbe la pena discutere oggi. Prendete queste affermazioni per quello che sono, cioè gli entusiasmi di un giovane universitario che ha portato a termine una tesi di laurea su questo autore. Dopo mesi di studio, dunque, concedetemi di accantonare per un attimo i giudizi critici. Ciò che vorrei fare, ora, è darvi una spinta, in questa ricorrenza della morte di Tondelli, a buttarvi, a prendere uno qualsiasi dei suoi libri, e lasciarvi sedurre dalla sua scrittura. Perciò, per iniziare, lasciate che vi fornisca almeno delle indicazioni generali.

Un’esplorazione necessaria

Cominciamo con una nozione biografica. Nato nel ‘55 a Correggio, piccola cittadina tra Reggio e Carpi, Tondelli manterrà sempre una relazione ambivalente verso la sua terra. Da un lato, il desiderio di fuga, incarnato dall’impressionante quantità di aspiranti viaggiatori presenti nelle sue opere. Sono spesso ragazzi di provincia, figli dei nuovi movimenti culturali degli anni Settanta, della liberalizzazione sessuale e del mito dell’America on the road, di Kerouac e della beat generation, che tentano di scappare da un mondo asfissiante e conservatore in cui non si riconoscono. Da qui nascono continui racconti di partenze, lunghi viaggi attraverso la Via Emilia o l’Autobrennero di Carpi, alla continua ricerca di un altrove dove, forse, ritrovare finalmente sé stessi. Dall’altro lato, un inconciliabile sentimento di appartenenza alla terra, di fedeltà alle proprie radici. Un movimento di ritorno, parallelo e contrastante quella partenza iniziale, che porta l’individuo a mettere a confronto le sue nuove verità, a cui non può rinunciare, con le conoscenze dei padri, le loro antiche tradizioni. Ed è, allora, un continuo susseguirsi di racconti sull’annuale vendemmia del vino, sui ricordi delle processioni sacre del paese, sulla ciclica uccisione del maiale. Un lascito di quelle usanze sanguinarie, ma proprio per questo concrete, di quell’Emilia contadina che Tondelli sentì sempre essere una sua parte fondamentale.

Dialogo con Enrico Brizzi

Ma, se continuerete a esplorare la sua scrittura, vi imbatterete inevitabilmente con due particolari parole che sembrano perseguitarlo: “scrittore generazionale”. Per la grande critica che lo ha studiato, infatti, Tondelli è soprattutto il giovane cantore di quei provinciali cresciuti dentro le sollevazioni studentesche degli anni Settanta. E questo è indubbio: poco più che ventenne, raccontava, esplorava la vita dei suoi coetanei come pochi autori sono riusciti a fare, dava voce a una fetta della popolazione rifiutata dalle frange più alte del sistema culturale. Ma forse c’è di più. Non che la definizione sia sbagliata, ma può essere utile una precisazione.

Ormai diversi mesi fa, una serie di eventi improbabili e corse per Milano finirono in una brevissima discussione, incentrata proprio riguardante Tondelli, con Enrico Brizzi (“Jack Frusciante è uscito dal gruppo”, “Bastogne”). Tralasciando dettagli che difficilmente possono interessare i lettori, su una cosa Brizzi fu molto chiaro: da Tondelli aveva imparato a scrivere. Non solo a livello stilistico, ma soprattutto tematico. Come mi disse, dai suoi libri aveva appreso l’importanza fondamentale di raccontare ciò che viveva. Niente trattati sull’assoluto, sviolinate romantiche, viaggi filosofici, solo perché a scuola si imparava una letteratura rivolta solo alle più grandi passioni dell’uomo. Ma uno studio concreto della propria realtà, del mondo che vedeva svilupparsi intorno a lui. È in questo senso che va intesa l’attenzione di Tondelli verso la propria generazione: egli non poteva che parlare di questi giovani provinciali, essendo loro la trama della sua stessa giovinezza.

Scrivere è come lanciarsi in una pozza di fango

Ecco, forse ciò sconvolge di più leggendo questi scritti è quanto Tondelli si sia immerso, passatemi il termine, “sporcandosi” nella propria contemporaneità. Perché, nel mondo della letteratura, scrivere di ciò che si muove, di ciò che è vivo oggi, fa lo stesso effetto di lanciarsi in una pozza di fango: fa schifo e, dopo, tutti ti stanno lontano. Forse un libro, fra tutti, si può considerare l’esempio perfetto di questa ricerca. Si intitola “Un weekend postmoderno, cronache degli anni Ottanta, e consiste in una raccolta di articoli, saggi, interviste e riflessioni, rimaneggiati appositamente, tramite i quali Tondelli si lancia in un’esplorazione accanita di quel decennio. Nulla rimane lasciato a sé stesso: le città e la provincia, le ricerche artistiche sperimentali e la cultura di massa, la musica e il fumetto. Lungo tutto questo percorso, Tondelli non abbandona mai il suo lettore. Anzi, lo accompagna ad ogni passo, in modo che sia in grado di vedere, comprendere, assimilare la realtà multiforme che lo circonda. E, fidatevi, gli altri scritti non sono da meno, ognuno esploratore di un proprio ambito.

Da “Altri libertini, dove questa gioventù sbandata viene raccontata attraverso un linguaggio gergale ed esplosivo, a “Pao Pao”, diario di un ragazzo nel suo anno di servizio militare. Da “Rimini, romanzo corale sui meccanismi seduttori e oscuri del turismo di massa, a Dinner Party, l’unica commedia teatrale di Tondelli, dove la vittoria dell’Italia ai mondiali dell’82 diventa lo sfondo per un dramma borghese allo stesso tempo familiare e generazionale. Per poi terminare con Camere separate, dove l’occhio del narratore si ribalta in un racconto intimo di superamento del lutto e ricerca delle proprie radici.

Finito questo sguardo panoramico su tutta una vita letteraria, permettetemi ancora qualche riga. Dobbiamo ritornare al nostro cimitero. In questa ricorrenza, è essenziale. Visitare i luoghi degli autori che in qualche modo ci hanno formato, porta sempre con sé l’idea di una visita necessaria. Questo perché, a chi li scopre dopo anni, rimane il bisogno di colmare quella distanza, di comprendere le località che hanno accompagnato la crescita di questi individui. Tondelli stesso, sempre sulle tracce delle personalità che avevano segnato la sua giovinezza, scriveva: «avendo ricevuto, al pari di tanti milioni di lettori, splendide cartoline da laggiù […] provare a dirigere l’automobile alle radici dell’ispirazione, fra quelle mura e quei monti […] confrontarsi, con un taccuino in mano, con lo stesso tramonto, gli stessi colori». Ma non solo. Perché un viaggio del genere è anche «un vero e proprio pellegrinaggio: ritualità, cioè, di un cammino, alla ricerca di sensibilità che si reputano affini e maestre».

Vale la pena ricordare

Se oggi sono venuto a rompere la quiete serena di una lapide né grande né monumentale, non è stato per fare un altarino. La venerazione di un autore cult di quegli anni non può portare nulla a noi, a trent’anni dalla sua morte. Innalzare Tondelli a santone della generazione (cosa peraltro già accaduta in passato) significa ridurlo a feticcio, un ricordo nostalgico di un tempo ormai concluso. Se sono venuto fin qua, e in qualche modo vi ho trascinati con me, è stato per confrontarsi, ancora, con la sua scrittura, con il suo lavoro, risalendo fino alla terra che ha fatto nascere tutto questo. Il senso più vero e profondo di un pellegrinaggio. Vi ho portato fino a questa lapide, in vista di un anniversario così importante, e vi ho parlato a lungo. Adesso sapete chi è stato Pier Vittorio Tondelli. A questo punto, a voi la scelta: iniziare a vagare per questa terra, ripercorrendo le strade delle diverse opere, tracciare percorsi tra questi testi e cercare di comprendere il loro messaggio, o dimenticare. Nessuno verrà a cercarvi sotto casa se sceglierete la seconda opzione, sia chiaro. Di certo ignorare Tondelli non vi rende dei criminali. Ma, se si vuole trovare un valore in queste ricorrenze che di tanto in tanto ci interrompono la giornata, sta tutto nel rinnovarci questa domanda. Se vale la pena ricordare. Quindi, di nuovo, a voi. Io la mia scelta l’ho presa diverso tempo fa.


Immagini
©Paolo Simonazzi – Via Emilia West – Sant’Agostino (FE), 2005
©Paolo Simonazzi – Via Emilia West – Riccione (RN), 2004
©Paolo Simonazzi – SISSA MP IN